Dal bar del Giambellino non si gode il fresco del Bosco verticale

Ricordate il bar del Giambellino, quello del Cerutti, Cerutti Gino, nella ballata di Giorgio Gaber? Da lì, il Bosco verticale di Stefano Boeri non si vede, non ne arriva l’ombra, non se ne gode il favoloso fresco.

Quella piacevole frescura non arriva neanche a Corvetto, San Siro, Lorenteggio, Calvairate, Quarto Oggiaro: i fasti della Milano ricca e bella, quella premiata e quella apprezzata, quella che “brilet de luntan”, come la Madonnina in cima al Duomo, non arrivano in quei quartieri “dove il sole del buon Dio non dà i suoi raggi”, impegnato a “scaldar la gente d’altri paraggi”.

E come nella Città vecchia di De André, o come il Cerutti che chiamavan Drago, in quelle strade non sono tutti onesti, in pochi sanno comunicare e credo che nessuna abbia uno stile ladylike, molto in voga, dicono, nei palazzi del potere. E non sanno spiegarti perché e come vorrebbero il mondo, come pensano che debba essere una città buona pure per loro, come dovrebbe essere quel Paese che cercasse di includerli e non li escludesse continuamente. Così può capitare che per vivere non riescano a rispettare la legge, o che, nello scelta fra il vivere da fuorilegge o vivere fuori e basta, propendano per la prima ipotesi, senza sottilizzare sui modi.

Adesso c’è chi invoca gli sgomberi, addirittura l’intervento dell’esercito, dimenticando che sono gli stessi che hanno governato e amministrato il Comune e la Regione per anni, mentre quelle cose avvenivano, ma erano nascoste per non danneggiare il racconto della Milano da bere, che alla fine s’è bevuta anche se stessa. E si vuol togliere i servizi minimi ed essenziali e il diritto alla residenza a quanti occupano “senza titolo” un immobile, espellendoli, in questo modo, anche dal novero dei cittadini, nel quale già sono marginali.

Dura lex, sed lex, che diamine, non si possono tollerare comportamenti al di fuori di essa. Già, e se lo dicono dalle sedi di quel potere che spesso, e ancora, si è creduto, e si crede, legibus solutus, sarà senz’altro così. Dopotutto, se il principe non può disporre del contado, che principe è? Non è mica colpa dei potenti se i miserabili vivono al di fuori delle regole, no? Non possiamo oltre tollerare l’idea sessantottina secondo cui proprio nella misurazione del disagio si trova la ragione critica di una società e della sua organizzazione? E soprattutto, non vorremo per caso farlo da sinistra, col rischio di apparire vecchi e inadeguati, come gettoni in un iPhone?

Certo, deve essere così. Alla fin fine, se lo dicono quelli “belli, intelligenti e bravi”, non vorrete schierarvi con gli altri, i “brutti, sporchi e cattivi”. Forse è davvero così, forse è davvero tutto sbagliato quello che abbiamo sempre detto, forse è davvero troppo antico il mio modo di pensare. Eppure, credo ancora che anche gli ultimi, quelli che spesso vengono condannati perché già sconfitti dalla storia e nella collettività, “se non sono gigli, son pur sempre figli, vittime di questo mondo”.

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