Più che il film con Rodolfo Valentino, o il suo remake con Rita Hayworth e Tyrone Power, sembra la parodia fatta da Mattòli e Totò. E senza nemmeno la comicità del principe della risata. Insomma, una versione brutta d’un rifacimento sbagliato, affidato a un regista e ad attori improbabili, e forse anche con un titolo assurdo. Che so, tipo: voto e arena.
E un’arena, l’aula di Montecitorio ieri lo è parsa per davvero. Gli applausi dei pentastellati e i loro polsi incrociati a mimare le manette, la pantomima di Grillo nelle piazze a incitar gli animi nei palazzi, lo schiacciamento del Pd, teso a inseguire le posizioni della corrente populista, nella quale, ormai, non solo non riesce più a fare il salmone, ma s’accontenta di provare a cavalcarla, quasi fosse l’unico modo per rimanere a galla. Non un sussulto di dignità, non un residuo di garantismo, non un briciolo di senso delle istituzioni o solo di pietà; nulla. Genovese diviene capro espiatorio per l’autoassoluzione di un’intera classe politica che sempre di più ha rinunciato ad avere un pensiero autonomo sulle cose del mondo e della vita.
Il deputato siciliano non andava candidato alle primarie, non andava votato, non doveva essere inserito in lista, non doveva fare il sindaco di Messina, il segretario del Pd siciliano e due volte il parlamentare. Inoltre, per quanto siano sempre dietro l’angolo i rischi della carcerazione preventiva, non è stato sbagliato autorizzarne l’arresto: come per qualunque altro cittadino, a un simile provvedimento della magistratura, e per ipotesi di reato comuni, non legati al suo mandato politico tali da farne sospettare aspetti ritorsivi, gli si dà corso, altrimenti si certifica l’esistenza di due giustizie: una per quelli che sono qualcuno, l’altra per chi non è…, ci siamo capiti. Il problema è un altro: farne ora, e solamente adesso, un caso da buttare in pasto al populismo rancoroso, non dimostra la forza di un partito, ma ne scopre la timorosa debolezza.
Quando alcuni esponenti del Pd isolano, penso a Valentina Spata ma non solo, denunciavano il connubio non chiaro e potenzialmente illegale nella gestione dei fondi regionali ed europei per la formazione, dal partito, ai livelli regionali e nazionali, quelle voci non solo sono state ignorate, ma ostracizzate e marginalizzate. Come se quelle cose non ci fossero, come se non avvenissero. Come se si scoprisse solo ora che alcuni nomi che ricorrono nelle inchieste dell’Expo erano gli stessi che si continuavano a vedere in determinati ambienti, come se fosse solo una folle idea di Daniele Viotti quella di porre al centro della discussione politica nel Pd piemontese (che dall’Alpi a Sicilia dovunque sia pantano?) la questione morale. Come se alcuni nomi condannati in passato per tangenti non ricoprissero oggi incarichi di responsabilità nel partito, come se quegli stessi nomi non fossero quelli che ricompaiono ancora nei vertici delle aziende pubbliche, nominati lì proprio grazie al partito.
Ma di tutto questo non se ne parla, per non smuovere le acque. Quando poi la magistratura interviene, si eccede, come ieri, plasticamente, in pose e pratiche peroniste.
E ‘l modo ancor m’offende. Perché la Camera prevede il voto segreto se in ballo ci sono i destini di una persona. Ed è una norma di civiltà, ma anche una regola di libertà, visto che possono esserci motivazioni di coscienza e di valutazioni personali differenti su quegli argomenti. Invece, per seguire il canto di quel Grillo che spesso si fa cuculo invocando con la bava alla bocca il controllo dei parlamentari, di un giustizialismo tanto al chilo e di una giustizia divenuta gogna per il corrotto (o presunto tale; quella su Genovese è pur sempre e solo una richiesta di custodia preventiva in attesa di giudizio), colonna infame per l’untore, sangue mischiato alla rena nel moderno Colosseo del web, dove disperati precari e sempre più poveri, gioiscono nel vedere da lontano le sfortune degli altri, provando a dimenticare così le proprie miserie.
No, non si tratta di Genovese. Non si tratta di un politico corrotto, né di un potente colluso. No. Qui in ballo c’è la civiltà dei rapporti umani, c’è l’élite di un potere così spaventato da dare in pasto al popolo quello che il suo populismo chiede, c’è la rappresentanza democratica che non ha più la forza di contenere da sé gli abusi (mai una volta che un’espulsione o un provvedimento disciplinare per fatti non chiari sia giunto prima dell’intervento della magistratura e in modo autonomo da parte dei partiti o delle istituzioni della politica) e rincorre al ribasso gli umori della folla opportunamente sollecitati da speculatori interessati.
No, non c’entra l’autorizzazione all’arresto data ieri. C’entra il crinale su cui ci si sta incamminando. Domani, la rabbia premente d’un popolo impoverito, e non solo materialmente, potrebbe essere indirizzata verso altri obiettivi. Magari meno colpevoli, magari meno indiziati, magari innocenti. Che faranno a quel punto quei parlamentari? Chiederanno alle masse: “chi volete che noi condanniamo?”. Nella speranza di poter poi dire, in tutta intimità e solitudine ma quasi a voler parlare alle moltitudini e dopo aver eseguito tutti i riti della moderna religione degli status sui social network: “sono innocente del sangue di questo giusto; pensateci voi”.