Vecchi sfiduciati e giovani “studiati”

In un bar di Palermo, un vecchio sfiduciato, già di sinistra, guarda entrare un ragazzo di buona cultura e ottime scuole; un giovane di sinistra, a sentire lui.

“Allora”, esordisce l’anziano, “avete fatto l’accordo Crisafulli-Farone: Raciti candidato dei renziani e dei cuperliani?”.

“Beh”, risponde il giovane, “che c’è di strano: i nomi non contano, conta il progetto”.

V: “Ah, quindi l’accordo con i renziani si può fare se è un cuperliano a candidarsi segretario, meglio se giovane democratico?”.

G: “Certo: è logico, no?”

V: “Mica tanto. E le insanabili differenze di visione del partito, quella fondamentale alterità politica, l’incolmabile iato fra i sedicenti eredi unici della tradizione di sinistra e quelli che gli stessi definiscono continuatori del berlusconismo?”.

G: “Sono tutti problemi sul campo che vanno contenuti all’interno del terreno della politica, ma che non possono essere ridotti ad un ragionamento manicheo o prepolitico. E poi, cosa vuoi che sia qualche angolo da smussare col quotidiano lavoro di ricomposizione di una soggettività politica nuova e rinnovata rispetto all’alto compito e all’abnegazione che sempre abbiamo dimostrato e che è necessaria per guidare il partito”.

V: “Dici che è solo spirito di servizio ciò per cui vi siete convinti all’accordo?”.

G: “Ovviamente! Non vorrai credere alla vulgata demagogica e qualunquista che vede dietro ogni faticoso e sacrificante compromesso politico la volontà di essere lì dove si decidono le future candidature, o le nomine negli enti, o gli assessorati, o una trama acuta e articolata, tessuta solo per acquisire crediti da spendere in altri ambiti e contesti? Queste cose qui sono il modo in cui si gestisce Forza Italia o in cui si gestiva il partito socialista ai tempi di Craxi”.

V: “Ma scusa, non avete sempre detto che proprio quelli che in questa candidatura vi sostengono, i renziani, proseguono e perseguono lo stile del fare politica tipico di Berlusconi? Non dite che il rampantismo di Renzi ricorda per molti aspetti la carica dei quarantenni nel Psi ai tempi della segreteria craxiana?”.

G: “Sì, ma è diverso. Infatti, in segreteria nazionale non abbiamo assunto ruoli di condivisione della linea politica, proprio per marcare quella differenza di cui tu dici”.

V: “In che senso?”.

G: “Nel senso che, con visioni significativamente diverse della politica e dell’organizzazione del partito, non si può condividere la gestione della segreteria nazionale”.

V: “Ma stai scherzando? Avete appena presentato una candidatura comune con i renziani al congresso regionale e parli ancora di ‘visioni significativamente diverse della politica e dell’organizzazione del partito’? E poi, scusa, i posti in segreteria nazionale forse non ve li dividete, ma quelli al Governo sì, e come”.

G: “Il Governo non c’entra; quello è nato prima”.

V: “Prima di cosa?”.

G: “Prima, prima. Non posso mica spiegare tutto a quelli come te”.

V: “Bravo. Però, sai com’è, anche quelli come me votano”.

G: “Sì, ma non è che per inseguire tutto ciò che quelli come te possono capire, dobbiamo fare solamente le scelte semplici da comprendere e facili da spiegare. La politica è complicata, perché il mondo è complicato. Ecco perché non possono farla tutti. Altrimenti, come ha scritto giustamente la nostra deputata Gd di Modena ‘il rischio più grande non è morire democristiani, è morire popolino’”.

“Non chi sia questa deputata, e nemmeno m’interessa saperlo”, osserva a quel punto il vecchio, ancora più sfiduciato alla fine del breve scambio di opinioni col giovane, e forse adesso anche rassegnato. “Però”, aggiunge, “pensavo che la democrazia fosse proprio quel qualcosa in grado di determinare le condizioni affinché la politica la potessero fare tutti. E poi, ancora, pensa tu che ingenuo, credevo che proprio la tua parte, quella che si fa tuttora chiamare ‘sinistra’, fosse quella che avrebbe dovuto guardare al popolo per migliorarne lo stato e il livello, anche culturale e di comprensione dei processi sociali, economici e politici, non certo per definirlo ‘popolino’ con la stessa sprezzante arroganza con cui i signori lo chiamavano ‘cafone’. Sarà che ho sbagliato, che ho capito male. Ti chiedo, visto che sei giovane e ‘studiato’: se la politica la devono fare solo alcuni, solamente quelli che ne capiscono, e che magari sono pure sempre gli stessi, a me, che non son fra quelli, perché dovrebbe interessare? Perché dovrei sostenere chi pensa che io non sia e non sarei mai in grado di capirla? Anzi, vorrei chiedertelo, ma temo di conoscere la risposta. E poi, non so più quanto m’interessi ascoltarla”.

“Calo’”, fa il vecchio rivolgendosi al barista, “tieni, pagati pure il caffè del giovanotto: tanto questi qui sono i due euro che dovevo dargli per le primarie”.

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