Sì, lo so: semel in anno licet insanire. Però, credetemi, stamattina quando ho sentito il tiolo dell’Unità nella rassegna stampa della all news Rai, l’adagio che m’è venuto in mente è stato un altro: non c’è più religione. E cos’altro pensare se il titolone che accompagna l’intervista a Cuperlo sul giornale del partito per antonomasia recita: “Se non c’è una svolta, meglio tornare a votare”. Sì, avete capito bene, l’Unità. E sì, avete capito bene, Cuperlo. Davvero: non c’è più religione. Quella religione laicista (non è un paradosso, né un ossimoro) che vede nel partito il detentore unico della vera dottrina della politica e nel governo appoggiato dal partito l’essenza del credo da difendere.
E verrebbe da dire Deo gratias (qui, invece, il paradosso c’è, ed è voluto)per la fine di questa religione, se non fosse che il quadro non convince. Perché il tutto avviene dopo una operazione di rimozione e oscuramento della realtà che sinceramente è insopportabile.
Cuperlo dice che il compito di Letta è dare una svolta all’azione del governo, “altrimenti se ne prenda atto, senza fare teatro”.
Senza fare teatro? E chi è che lo fa questo teatro? Quelli che “mai al governo con Berlusconi” e poi ci sono andati? Quelli che il giovedì escludevano l’alleanza col Pdl e la domenica giuravano da ministri in alleanza col Pdl? Quelli che, contro la Fiom che apre al contratto unico, dicono “bisogna difendere l’art. 18 ed estenderlo a tutti i lavoratori”, ma dicevano che bisognava votare “sì” al referendum Fiat, contro la Fiom che a quello si opponeva, ed oggi sono in alleanza con Sacconi, e fino ad ieri sostenevano Monti e la Fornero? Quelli che, ieri, “non si critica il partito e il governo sostenuto dal partito”, mentre oggi prendono le distanze da entrambi? Chi è che fa teatro?
Se lo stile di chi scrive fosse simile a quello di quanti hanno commentato le affermazioni di chi queste cose le diceva tempo fa, direi che Cuperlo voglia “fare il figo” (perché noi siamo per la parità di genere, giusto?), o stia facendo il “frocio con il culo degli altri” (perché non siamo omofobi, ma solo a parole).
La svolta, caro Gianni Cuperlo, poteva essere data, ad esempio, sulla moralizzazione della politica, a partire dal caso Cancellieri. La svolta ci poteva essere sul dire “no” all’abolizione dell’Imu, servita a realizzare l’unica promessa elettorale di Berlusconi, a spese nostre ovviamente. La svolta poteva esserci nel ridurre il numero degli F35 da comprare; nel cambiare la legge elettorale da subito, visto che lo diciamo da sempre, e non giudicarne intempestivo il discuterne in Parlamento (perché, dove altro si doveva farlo?) per porla alla fine di una non meglio precisata stagione di riforme sotto l’alta guida dei costituenti di Quagliariello; nel dire, “senza fare teatro”, che la nomina di Cécile Kyenge a ministro non è un’operazione di facciata, ma il senso di una politica che si concretizza nell’approvazione dello ius soli, domani, e nell’abolizione della Bossi-Fini, oggi.
La svolta, caro Gianni Cuperlo, non si è voluta. Anzi, visto che i pronomi indeterminati sono appunto tali, la svolta “non l’avete voluta”. Non l’ha voluta la maggioranza (quasi totalitaria) del partito giubilante alla rielezione di Napolitano e per l’avventura delle larghe intese. Non l’hanno voluta quelli che, ad ogni tema indigesto, tacitavano il dissenso con il malox del #potrebbecadereilgoverno. Non l’hanno voluta quelli che “ce lo chiede l’Europa, si spaventano i Mercati, lo vuole il Quirinale, il Semestre Europeo, la fine del Bicameralismo, la Stagione delle Riforme, la Legge Elettorale, la Governabilità, la Stabilità”, e tutte le maiuscole che hanno bloccato, fermato, ibernato il Paese (l’unica maiuscola a cui si doveva guardare) in una cessazione di decisionalità (che non è decisionismo) dovuta alla minaccia di sospendere la manifestazione diretta della volontà popolare, perpetuata attraverso il totem del governo per il governo ed il tabù dell’impossibilità del ricorso al voto, pena il crollo dell’economia, l’attacco degli speculatori, le cavallette, l’invasione delle rane e la moria degli armenti.
La svolta, caro Gianni Cuperlo, non l’hanno voluta quelli come te, non l’hanno voluta i 200 e rotti parlamentari che ti hanno sostenuto al congresso, e quelli che hanno sostenuto Renzi e che adesso, pure loro, la invocano, non l’hanno voluta quelli che hanno fideisticamente plaudito all’esorbitante potere del salvatore della Patria, quel demiurgo che aveva fatto nascere il governo dal caos dell’ingovernabilità e che ci avrebbe difeso da piaghe, patimenti e perdizioni. Quello che pur di evitare tutto questo, cioè il ricorso alle urne per chiedere agli elettori di dipanare la matassa in cui si è avviluppato il Palazzo con i suoi veti e posizionamenti, non ha esitato a minacciare, nel caso di sordità alle sue richieste, di trarne “le conseguenze”.
Ora quello schema mostra la corda. Ma i sostenitori dello stesso (Cuperlo, certo, ma ieri erano i giovani turchi e i neorenziani e domani sarà qualcun altro) non mostrano alcun ripensamento. Anzi, parlano come se fossero stati altri ad averci condotti al punto in cui ci troviamo, e criticano (da sinistra, dicono, forse per mettersi qualcosa di rosso, che a San Silvestro porta bene), quel Governo che fino ad ieri ritenevano peccato porre in discussione, tanto da minacciare espulsioni, radiazioni, allontanamenti.
Ci manca solamente che al coro degli scettici sul governo Letta s’intoni stasera pure Napolitano. O l’ha già fatto?