Camminando per andar via

Sapeva, sì, come ogni stagione mentisse,
che la promessa di nuovo era solo ritorno
a un tempo già stato, a ricordi mai andati
ma sempre forti sotto il passar dei giorni.
 
Sapeva come fosse la fine a dare il senso
a quello che si vive, a quello che si prova.
Eppure si mosse al mattino, uscì di casa,
si spinse fra boschi di foglie già ingiallite.
 
Volle uscire dalla gabbia dei sui pensieri
spingendo occhi e gambe oltre le parole,
valicando quella trincea da tempo scavata
fra i suoi i libri, nel rifugio dei suoi studi.
 
Camminò tanto, salendo, verso il crinale,
senza girar gli occhi a valle, lentamente,
inseguendo, deciso, le speranze dell’ieri,
seguendo, convinto, il consiglio dell’oggi.
 
Camminò sperando di perdere fra i passi
i ricordi d’una vita trascorsa, spesa, persa,
del dolore dato agli altri, del dolor patito.
E per un attimo, uno solo, parve possibile.
 
Gli sembrò che l’oggi potesse riscattarlo,
che il percorso fatto per superar se stesso
potesse esser sufficiente a far ammenda
per i suoi errori passati, le colpe, i delitti.
 
Pensò che potesse bastare il dolor patito,
che il fio pagato già da decenni riuscisse
a riscattar quel che aveva e non meritava,
a render giusti e non rubati i giorni avuti.
 
Pensò, però, anche a quel che aveva fatto,
a quanto aveva determinato la vita d’altri,
alla sofferenza che aveva invece lui dato,
ai tanti fantasmi che aveva creato, voluto.
 
S’accorse, in vetta, che la salita era finita,
che doveva ridiscendere, e come sempre 
ritornar ai ricordi che voleva dimenticare,
mentre scorse, in un albero, le sue ombre.
 
Trovò lì quella sua angoscia, i suoi spettri:
“Ben giunto, t’aspettavamo qui da tanto”.
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