Bersani versus Renzi: ovvero, della pratica della penna e dell’estetica del tablet

È una riflessione semiseria quella che mi accingo a scrivere. Senza i crismi o la presunzione della scientificità, ma al di là della banalità del trito dualismo giovani contro vecchi.

Il segretario del Pd ritratto al tavolino d’un bar, mentre con la penna rifiniva il testo d’un intervento che avrebbe tenuto poco dopo, ha fatto il giro dei media nazionali. Di quella foto, ironicamente, si metteva in risalto la solitudine dell’uomo mentre appuntava riflessioni sorseggiando una birra, utilizzata, dai suoi detrattori, come il simbolo della “solitudine” di un intero partito (il pensiero, poi, che un partito possa soffrire di solitudine è il frutto avvelenato della paradossale identificazione della parte col singolo, predicata e praticata in questi anni di folle alienazione dalla politica).

Del sindaco di Firenze è quasi impossibile immaginare una foto simile. Più facile, invece, pensarlo intento a digitare sullo schermo d’un tablet o di uno smartphone.

La differenza è tutta qui? Fra la diversità generazionale degli strumenti? Ovviamente no. Ed è altrettanto ovvio che quella differenza fra le due immagini, reali o ipotetiche, nulla ci direbbe sulla diversità dei due candidati alle primarie del centro sinistra rimasti ancora in corsa dopo il primo turno del 25 novembre, e che si rivolgono all’elettorato, almeno così dovrebbe essere, forti delle loro idee politiche e non per le preferenze degli strumenti comunicativi.

Però, curiosamente, proprio le immagini che in questa campagna elettorale i due competitori ed i rispettivi comitati stanno veicolando a scopi elettorali, sembrano raccontare qualcosa di più sull’essenza dei loro programmi e, forse soprattutto, del loro intendere la politica.

I messaggi racchiusi nell’iconografia propagandistica di Renzi, infatti, sembrano volti ad un ottimismo del “tutto è facile, basta volerlo”. Anche i colori e l’abbigliamento scelto dal candidato, molto in stile convention Usa, molto consono all’immaginario, un po’ provinciale, della “land of opportunity”, sembrano voler sottolineare questo sentimento di positività. E poi, la voglia di semplificare, di rendere “user-friendly” anche i concetti ed i meccanismi della politica. Una sorta di “logica Apple” applicata  alla società: non importa quanto un processo possa essere complicato nel suo comporsi, esso è lì per te, e puoi toccarlo con un dito. E su questo gigantesco tablet delle cose della politica, scorrono, esteticamente semplificati, i grandi concetti pesanti della Storia, dell’economia, delle dinamiche sociali: la riforma del lavoro è easy, l’economia è easy, il rapporto fra produzione e ambiente è easy.

Dall’altro lato, invece, nel campo socialdemocratico bersaniano, tutto è più pesante. Non c’è nulla di semplice nello svolgersi quotidiano delle relazioni fra gli uomini, nulla di semplice nelle relazioni fra imprenditori e lavoratori, nulla di semplice nel dispiegarsi dei rapporti fra le necessità della crescita per creare lavoro e reddito per un numero sempre crescente di persone ed il rispetto dell’ambiente per assicurare il diritto alla salute di quanti vivono su questa Terra. E la rappresentazione iconografica nella campagna elettorale di Bersani non fa nulla per alleggerire questo senso di pesantezza. Anzi, lo stesso segretario del Pd afferma: “non voglio piacere, ma dire la verità”. Una verità che è concreta come il benzinaio alle sue pompe nel quadro di Hopper utilizzato dal comitato per Bersani fra le immagini della campagna elettorale.

Come dire, mentre nell’estetica all’iPad scelta dal sindaco fiorentino tutto deve essere veloce e luminoso, come le icone sullo schermo processate dal tablet, nella pratica dell’avanzare per gradi del segretario nazionale tutto deve essere sottoposto “alla lima” del tratto di penna. Un diverso modo di intendere la politica, come pratica dell’avanzare per gradi, a tratti, appunto, o come estetica della velocità, del nuovo e luminoso, del semplice.

Se da un lato, però, c’è la velocità del responso che rifugge la noia della complessità, dall’altro c’è il lento inerpicarsi del pensiero che cerca la soluzione, evitando la risposta più immediata ma non esaustiva. Due modi di intendere la politica? Non solo.

Fra l’immagine quasi salvifica della rottamazione e la pratica antica del riparare, la logica dell’innovare nella ricerca della performance migliore e l’idea del non lasciare indietro nessuno praticando mediazione e attenzione ai punti di debolezza più che predicando il fascino per quelli di forza, scorre il fiume in piena della Storia che si spiega nello scontrarsi fra il mondo dei primi e quello degli ultimi, l’interesse di chi ha e l’aspirazione di chi cerca, le attese di chi difende il proprio stato e le speranze di chi vorrebbe qualcosa da difendere.

La mediazione fra questi due mondi, fra queste due declinazioni della stessa vicenda non è mai semplice. Farla apparire tale è un artificio che può andar bene nella luminosità d’uno schermo a led, ma che spesso cozza fortemente con i toni di grigio di una realtà che tutti i giorni deve essere attraversata da chi lotta per ottenere il minimo che gli serve per vivere. Allora, essere ottimisti aiuta, far passare tutto ciò che si deve fare come la più semplice delle “app”, inganna.

Certo, può essere affascinante e seducente il pensare di vivere in un mondo semplificato e luminoso, ma, se non è vero, rischia di precipitarci in uno stato peggiore al risveglio dal sogno. A questo, soprattutto noi italiani, ma un po’ tutti coloro che hanno creduto nella favola del migliore dei mondi possibili autoregolato dal mercato e dall’economia, dovremmo essere vaccinati.

Non ci possono essere risposte semplici a problemi complessi, non esistono slogan per descrivere le difficoltà multilivello e pluridisciplinari della realtà. Tutte le icone del desktop non bastano per incasellare le questioni e dar loro la giusta attenzione.

Il rinnovamento è cercare soluzioni per cambiare il gioco, non sostituire i giocatori per continuare la stessa partita.

Alla fine, però, non posso fuggire la domanda che corre sottotraccia in questa riflessione e che potrebbe pormi un ipotetico lettore: ma fra i due, chi preferisci?

Il fatto, però, è che non ho un iPad.

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