Ma sono così deboli le vostre idee?

Il segretario regionale del Partito Democratico piemontese Gianfranco Morgando ha definito, in una lettera all’edizione torinese de La Repubblica, “gesti un po’ carnevaleschi” le celebrazioni simboliche dei matrimoni fra coppie omosessuali durante il Gay Pride di Torino. Il Pride è una manifestazione, è come tale spesso gioca sulla forza del simbolismo, anche cercando volutamente la provocazione. Nonostante questo, definire carnascialesche azioni che tendono a porre nella giusta attenzione le richieste di persone che chiedono solo di vivere apertamente i loro sentimenti, è quanto meno offensivo.

Come avrebbe reagito Morgando se qualcuno avesse definito “carnevalata” il Family Day? L’uscita del segretario regionale piemontese è stata infelice e sbagliata, e appassionarsi in ricostruzioni dietrologiche sul ruolo dei “cattolici” nel Pd come movente di quelle affermazioni, ha il sapore stantio di logore divisioni che hanno senso e forza ormai solo nella mente di chi le individua. Penso invece che le parole di Morgando siano il respiro di un clima di indeterminatezza che all’interno del Partito Democratico si vive su questioni fondamentali per la vita sociale e civile di un Paese. Quello delle unioni gay è uno di tali temi. Ma poi ci sono i problemi legati al testamento biologico ed al fine vita, al riconoscimento dei diritti dei nati in Italia, all’utilizzo delle droghe leggere, alla fecondazione assistita, alla ricerca sulle staminali, divorzio breve. Di tutto questo non se ne parla chiaramente. Ed i tentativi di discuterne seriamente (vedasi l’ultimo documento del Pd nazionale sui diritti) francamente sembrano naufragare sugli scogli della retorica senza giungere nei porti delle decisioni.

Per esempio: si vogliono riconoscere a tutti gli effetti di legge le coppie di fatto, indipendentemente dal sesso dei partner? Poi chiamatele come volete, ma il matrimonio non è altro che un’unione fra due persone riconosciuta dalla legge. Oppure: i bambini nati in Italia da genitori che vivono in Italia e che, probabilmente, continueranno a vivere in Italia, possono essere riconosciuti quali cittadini italiani? Il singolo individuo ha la libertà di credere che della propria vita, compresa la fine di questa, può decidere da solo? Può pensare di ricercare la propria felicità ed il proprio benessere utilizzando i progressi della medicina nel suo Paese senza dover rivolgersi all’estero? In sintesi, può il singolo decidere in libertà della propria vita nel rispetto delle altrui libertà e diritti, senza che qualcuno, non si capisce da chi titolato al giudizio, gli spieghi cosa è giusto, sano, morale? Francamente, m’ha stupito in modo negativo l’uscita di Fioroni che annunciava la propria candidatura in alternativa a Bersani alle primarie solo perché questi si era permesso di aprire alle unioni fra omosessuali. Ora, io penso comunque che il confronto fra le idee sia sempre positivo, ed una candidatura di Fioroni solamente sui “temi etici” avrebbe contribuito a determinare la reale portata di quelle posizioni all’interno del Partito Democratico e del centro sinistra. Ma è chiaro che l’uscita di Fioroni era fortemente ricattatoria: non v’azzardate a discutere di quelle cose, o qui salta tutto. Che poi, d’altronde, è l’atteggiamento usuale dei “difensori dei valori tradizionali”. Una posizione, quella, per cui sarebbe un attentato alla loro sensibilità il solo parlare di unioni gay o legge sul fine vita, mentre non lo è affatto la loro azione di ricatto per evitare che su tali vicende ci sia la possibilità di avere norme adeguate alle reali esigenze del Paese. La dico diversamente: se io voglio vivere tutta la mia vita con una persona del mio stesso sesso con gli stessi diritti degli altri, o se reputo che la mia vita possa essere incompatibile con la necessità di dover dipendere per sempre da apparecchiature elettromedicali, in cosa limiterei la libertà di quelli che la pensano come Fioroni? Dove “attenterei” ai suoi valori ed alla sua sensibilità? Di contro, la stigmatizzazione morale continua di altri stili di vita e la preclusione rigida ed irremovibile ad un riconoscimento legale di altri modi dell’essere al mondo limita fattivamente la libertà di moltissime persone. Perché la libertà dell’altro di vivere la sua vita come sceglie, nel rispetto della mia libertà, dovrebbe limitare i miei diritti? Perché la sua visione del mondo dovrebbe mettere a rischio la mia?

Nessun gay, credo, si sia mai permesso di giudicare lo stile di vita di Fioroni. Nessuno, immagino, costringerebbe altri ad interrompere le proprie esistenze in caso di coma irreversibile solo perché lui lo farebbe per sé. Cosa accorda ai “Fioroni” il privilegio di fare il contrario? Quale arbitrio assegna loro la garanzia di parlare le parole del vero?

E soprattutto: ma quale sarebbe la minaccia di cui altri stili di vita sarebbero portatori? Quale il pericolo? Che alcuni possano essere influenzati dall’esempio del vivere degli altri? Be’, se così fosse la domanda da rivolgere a coloro che sempre “pensano bene” sarebbe un’altra: ma sono davvero così deboli le vostre idee?

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