Da Empedocle alla magia: come l’economia divenne dogma esoterico. Uno scherzo

Leopardi volle far chiudere i suoi canti da uno scherzo. Uno scherzo nel quale, però, poneva un problema reale: quello della mancanza di “labor limae” nella letteratura della sua epoca. Io con uno scherzo voglio iniziare questo articolo. Non è, né vuol essere, risolutivo: d’altronde, non sono, né voglio essere, Leopardi.

Ma mi chiedevo, giorni fa, perché mai, dalla gnoseologia di Empedocle, da quell’intuizione dell’agrigentino per cui si conosce il simile col simile, si sia poi passati all’accezione proto magica per cui il simile si “curerebbe” con il simile, stranamente e singolarmente simile al motto del fondatore dell’omeopatia, Samuel Hahnemann, per il quale, appunto, “similia similibus curantur”, dove “curantur” è un congiuntivo usato in modo esortativo: “si curino”.

Ovviamente, date le mie pressoché inesistenti conoscenze mediche, la domanda a me stesso non verteva su questioni di carattere sanitario, ma su argomenti politici ed economici. Cioè, quello che non capisco è come mai per curare le storture del liberismo dovremmo usare ancora maggiori dosi di liberismo. E la cosa raggiunge i toni del grottesco, soprattutto se si pensa che in altri campi dello scibile umano, trattando di cure e rimedi, gli stessi sostenitori del precedente assunto omeopatico (di cura “con il simile”), sarebbero propensi ad un rigore scientifico più fedele al motto ippocratico e galeniano “contraria contrariis curantur”, ad un’idea che sempre Hahnemann definirebbe allopatica (di cura “con il diverso”). Sentendoli, ad esempio, discettare con inutile sicumera delle meraviglie della meritocrazia, per cui chi sbaglia paga e viene sostituito da altro, si sarebbe, infatti, portati a pensare che anche per le teorie economiche, se una si dimostra fallace si procede alla sua sostituzione con un’altra.

D’altronde, però, è chiaro come quello del merito sia solamente un mito spesso spacciato come vero da chi lo sostiene per giustificare ex post, con presunte capacità, i ruoli che riveste ed i privilegi di cui gode. Ed anche nel parallelismo con le teorie economiche, tale mitologia mostra tutta la corda della sua inconsistenza.

In ogni caso, l’idea che con le pratiche del liberismo si possano curare i danni che il liberismo stesso ha prodotto (cos’è questa crisi se non un limite della dissennata politica economica e finanziaria dei tre decenni precedenti?), ha del magico. Così come ha del magico la tensione ad affidare le sorti dei Governi a stregoni formati agli “arcana imperii” (“et dominationis”, aggiunse Tacito, a sottolineare il carattere volutamente dispotico di tanta oscura complicazione).

In questo modo, anche l’economia diventa materia da adepti, artatamente complicata per sfuggire al controllo diffuso. Diviene pratica a cui si accede dopo il superamento di un cursus misterioso, ai cui misteri e segreti si giunge alla fine di un percorso iniziatico che solo in pochi possono seguire. Diventa esoterica la cultura che più di ogni altra dovrebbe essere di tutti, che più di altre dovrebbe essere “essoterica”, rivolta al pubblico, visto che tutti coinvolge nei suoi effetti, nel suo dispiegarsi nella realtà.

E per star infine sui temi dello scherzo leopardiano, anche il concetto del tempo, della velocità di reazione, della immediatezza della risposta, pare riempire i toni del discorso economico attuale. Non c’è più tempo per la riflessione, per l’analisi, per l’approfondimento dei diversi aspetti, delle complicazioni, delle implicazioni. Più che teoria economica, diviene tecnica, ed allora si deve dar spazio al pragmatismo, alla concretezza; e che questi filosofi e pensatori inconcludenti se ne stiano a casa loro: il tempo è denaro.

Ritorna il recanatese: “Io mirava, e chiedea:/Musa, la lima ov’è? Disse la Dea:/la lima è consumata; or facciam senza./Ed io, ma di rifarla/non vi cal, soggiungea, quand’ella è stanca?/Rispose: hassi a rifar, ma il tempo manca”.

Correre, correre, correre. Ma verso dove?

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