I come indignazione o come ipocrisia?

Il 15 ottobre, a Roma come in centinaia di altre città nel Mondo, tantissimi manifestanti hanno portato in piazza la loro indignazione contro una crisi economica, creata dagli stessi che ora cercano di scaricarne la responsabilità su chi ne sta già pagando gli effetti. Fin qua è lapalissiano: la crisi l’hanno creata banchieri e finanzieri ed ora pensano di scaricarla sulle pensioni e sulla sanità pubblica. Emblematica, in tal senso, è la posizione della Commissione Europea: alla Grecia impone il licenziamento di 30 mila statali ed il taglio drastico dei livelli di welfare, mentre trova fondi da dare alle banche, come se la colpa della crisi fosse del pensionato di Salonicco e non del broker di Francoforte.
Ed il movimento degli “Indignati” vuole affermare proprio questo: chi rompe, paga. E si tengano anche i cocci. Le donne e gli uomini in piazza in ogni angolo del globo vogliono che la finanza sia la prima a pagare, pretendono che si cancellino i privilegi dei ricchi, l’1 per cento della popolazione mondiale, e non che si intacchino i diritti dei poveri, il restante 99 per cento, e chiedono che a chi ha sbagliato nel gestire l’economia non sia consentito ora di indicare agli altri la strada per risolvere i guasti. Con l’intenzione di rappresentare il 99 per centro del Pianeta, chiedono direttamente ai responsabili del governo sovranazionale del Mondo, banchieri e finanzieri appunto, di riparare ai danni fatti. Saltano a piè pari le istituzioni e la classe politica (come dar loro torto: davvero qualcuno pensa che uno Scilipoti, un Gasparri, una Santanché possano essere interlocutori di un ragionamento più sensato di quelli in onda su Rai Uno nel dopocena?), per rivolgersi direttamente a chi ha in mano le redini del comando. Fin qui, in estrema sintesi che difficilmente rende giustizia alla vastità del movimento, le ragioni profonde dell’indignazione; la prima “I”.

La prima delle due “I” di questa storia. Perché se in tutto il Mondo è l’indignazione ad emergere in questo contesto, qui da noi è un altro fenomeno a farla da padrone, una nostra vecchia conoscenza il cui nome inizia sempre per “I”: l’ipocrisia.
Perché sinceramente tutto si poteva sentire, tranne Draghi dirsi d’accordo con le ragioni del movimento. Draghi, ma eri o non eri tu a governare la Banca d’Italia negli anni in cui la finanza e la borsa mandavano a gambe all’aria tutto il sistema economico mondiale? E che cosa hai fatto per impedirlo? Uno potrebbe obiettare: ha cambiato opinione. E no. Perché, a meno che non sia il fratello gemello, sempre lui, mentre sproloquiava sulla precarietà quale nemico pubblico numero uno, vero baluardo alla realizzazione dei giovani, firmava una lettera, in collaborazione col suo amichetto Trichet, nella quale chiedeva di aumentare la libertà delle aziende di regolare accordi salariali e contrattuali a livello d’impresa (metodo Marchionne, per intenderci) ed una rivisitazione, in senso liberista ça va sans dire,  delle norme per assunzioni e licenziamenti. Siamo all’operetta.
Ma l’ipocrisia non è solo di Draghi. In molti nel centro sinistra, e specificatamente nel Pd, hanno detto di condividere le rivendicazioni dei giovani indignati. Allora, fuori dalle chiacchiere, qualcuno mi dovrebbe spiegare perché l’abolizione della Legge Biagi non è al primo posto nel programma economico del Pd? Perché il Pd, con significative quanto rappresentative eccezioni, non è schierato chiaramente contro l’idea “marchionnea” dei rapporti di forza nelle relazioni sindacali? Perché il Pd non dice chiaramente che, se dovesse andare al Governo, ripubblicizzerà la gestione dei servizi di interesse collettivo e difenderà il diritto di accesso di tutti ai beni comuni? Perché al primo posto dello scrivendo programma di governo il Pd non pone la necessità di tassare i patrimoni mobiliari ed immobiliari, le rendite e le transazioni finanziarie. Perché è questo quello che quei movimenti chiedono. Si vogliono spiegare le vele per raccoglierne il senso e la portata? Bene. Ma non si faccia dire al movimento quello che non dice, non si finga di essere d’accordo con posizioni che sono diametralmente opposte a quelle che fino ad ieri si sono sostenute e che, su altri scenari, ancora oggi si sostengono. Il Pd ed il centro sinistra possono dialogare con il movimento? Si, a patto che chi andava tutte le sere a cena con coloro che hanno causato i disastri si faccia da parte. Per decenza, se non per convinzione politica.
Ma è solo indignazione quella che serve la “I” dei movimenti italiani. No, ovviamente. Un po’ di ipocrisia c’è anche lì. E riguarda non tanto la proposta (che per altro condivido interamente, anche se potrebbe essere più coraggiosa), quanto la protesta. I miei trent’anni sono pochi più dei vostri (parafrasando De André), ma davvero, amici e fratelli (compagni non so?) credete che la rivoluzione si possa scaricare sul tablet? Che per un mondo nuovo ed un nuovo ordine globale basti cliccare su “download”? Immaginate forse che il cambiamento sia un App?  
Di che cosa stiamo discutendo? Di un nuovo mondo possibile o di una nuova generazione alla guida di quello che già conosciamo? Se è della prima opzione, ritengo che il risultato non arriverà “a gratis”. Se invece stiamo discettando sulla seconda, la cosa m’interessa poco: si tratta di due generazioni che si contendono il potere sullo status quo. Giovani borghesi che contendono la leva del potere a vecchi borghesi, avrebbe scritto qualcuno nel secolo scorso.
Su un giornale della grande borghesia italiana, il direttore lamentava la mancanza in Italia di una protesta capace di generare nuova classe dirigente (borghese, s’intende), come fu in America il movimento a cui aderirono quelli che sarebbero poi divenuti i grandi capitani dell’industria di oggi, i tanti, noti o meno, Steve Jobs che riempiono il Paese delle stelle e delle strisce. Si lamentava, cioè, che nel nostro Paese (ma direi in Europa) non ci sia un movimento capace di rimanere nel solco dello stato attuale dei rapporti di forza. Semplicemente perché gli americani, rileggendo, adattandolo all’oggi, il Poeta, “coi loro sciocchi fiori”, si sono inventati giorno per giorno “un nuovo linguaggio rivoluzionario!”. Ma da noi qui non si può fare “perché in Europa ce n’è già uno: potreste ignorarlo?”
La classe dominante ha già i canoni del comando, vuole forse anche quelli del dissenso? Come dire: ha già dalla sua l’ipocrisia, vorrebbe ora anche l’indignazione?

 

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