Guardandoli arrivare schiumano di rabbia
come se da loro venisse ogni male;
li temevano prim’ancora che partissero
sognando di sparar loro ancora in mare.
Spostano lo sguardo con fastidio
da chi chiede pietendo solo i loro avanzi,
ordinano all’autorità d’allontanarli
per non veder il volto della miseria.
Non ammettono nel loro mondo falso
chi realmente manca di tutto per vivere;
temono improbabili concorrenze
nella corsa dell’avere al posto dell’essere.
Li abbiam visti chinare il capo ossequiosi
al cospetto di chi predicava l’accoglienza,
li sentiamo inveire, urlare, ringhiare
contro chi chiede pace, asilo, ristoro.
Blaterano difese di vane identità cromate
dietro l’umile segno di chi diede la vita
per lenire le sofferenze del prossimo
senza chiedere chi fosse, da dove venisse.
Ed oggi quella croce la usano come spada,
clava barbara con cui colpire e schiacciare
chi chiede aiuto, con cui combattere
chi già è stato sconfitto e battuto dal destino.
Ed allora, buona Pasqua. Di resurrezione.