Caduta tendenziale del saggio antropologico

           Siamo come ci ha fatti Drive In. No, non i cinema all’aperto dove in una Oldsmobile Convertible rossa, con tanto di cromature e capote bianca, un ragazzo biondo ed una ragazza dai fluenti boccoli neri si baciavano, mentre sullo schermo in fondo Vivien Leigh e Clark Gable facevano altrettanto. No, qui siamo in Italia.
           Drive In la trasmissione di Italia Uno, intendo. Siamo diventati tutti come i protagonisti di uno scadente revival anni ottanta di Happy Days. Senza nemmeno quei valori annacquati che pure in quella sit-com erano presenti.
           Siamo come anni di tv commerciale e pubblicità ci hanno fatto, inverando in questo la drammatica profezia di Ennio Flaiano. Era questo il terribile vuoto a cui portava il mutamento antropologico di cui parlava Pasolini? Forse.
           Certo è che siamo ormai da tempo all’interno di una caduta tendenziale della nostra cultura e della nostra società. E siccome la nostra Storia cerca sempre i crismi della farsa nella sua narrazione, e trova spesso le dimostrazioni plastiche del suo collegamento alla commedia, anche il Caso gioca come prim’attore e la Coincidenza si diverte a scrivere le sceneggiature.
           Avete presente il caso Scajola, con tanto di ilare chiusura in conferenza stampa, con un ministro della Repubblica che, senza arrossire e senza tradire il minimo sorriso, dice convinto che farà fuoco e fiamme se “dovesse acclarare” (retaggio da azzeccagarbugli, per non dimenticare che anche nei massimi momenti di tragedia la nostra lingua sa esser comica) che qualcuno gli ha pagato la casa “a sua insaputa”? Be’, in quel condominio vista Colosseo, sopra l’abitazione parzialmente acquistata dal ministro, abita Lory Del Santo, la celebre ragazza fast food di Drive In, appunto, l’icona sessual-pop, con tanto di seni all’aria costretti in un corpetto con i colori della bandiera statunitense.
           Ma nemmeno i Vanzina avrebbero mai osato tanto!
           Eppure tant’è. Ed al di là delle coincidenze, il dramma, quello vero, è che per le troppe storture di cui veniamo a conoscenza nemmeno c’indigniamo più. Verso questa “strafottenza” arrogante, verso questo potere ostentato, verso questa ricchezza (spesso immeritata) sbattuta in faccia al mondo che spesso non sa come chiuder gli occhi senza i morsi della fame, noi non proviamo indignazione. Tutt’altro: noi proviamo invidia.
            E temo di sapere anche perché: perché siamo tutti parvenue o aspiranti tali. Fino ad ieri pezzenti nel senso letterale della parola, proletari o cafoni che giravano il mondo alla ricerca di un pane meno amaro, oggi aborriamo la miseria e chi ancora è costretto a farci i conti quotidianamente. E, per il-logica conversione, ammiriamo chi ostenta ricchezza e potere. Per secoli perdenti, oggi ammiriamo estasiati i vincenti, anelando ad esser come loro.
           Non importa a che prezzo. Che sono i valori? Cos’è la cultura? A che cosa servono tutte queste idiozie se non a dare un appiglio morale e consolatorio a chi non riesce a vincere nella corsa a far soldi? Le mamme di quel paesino lombardo che digrignavano i denti contro chi non riusciva a pagare la mensa per i propri figli sono l’emblema di quanto vado affermando. In quel borgo, fino ad ieri di contadini afflitti da fame e pellagra, oggi, ubriacati da un’insana nozione di benessere, non si sopporta minimamente l’idea di povertà. Lì, come altrove, si osanna e s’insegue la ricchezza: anche se solo in immagine.
           Se questo è il modello non contraddetto, quali potranno essere i risultati? Questo Paese cancellò la miseria degli antenati e pure la loro etica. E mentre sostituì la prima con le carrozzerie delle Cinquecento e la luce azzurrognola delle televisioni, pensò forse che alla Rinascente ognuno avrebbe potuto trovare una morale atta alla bisogna, magari a prezzo d’occasione. Quando questa ci fu venduta a rate per televisione, nessuno pensò di star lì a farsi troppe domande: c’era da lavorare, da spendere e da sognare le vacanze a Rimini. A chi importava tutto il resto?
           Oggi siamo qui e così. Dovremmo seminare di nuovo, ma pensiamo a mietere. E forse nemmeno c’accorgiamo più della differenza fra le due operazioni, tanto nel dimenticatoio abbiamo spinto la nostra vera cultura popolare. Ci inventiamo tradizioni su misura e tradiamo la nostra storia migliore. Il fango sulle scarpe grosse affinava il cervello, ma sporcava i salotti; così meglio un paio di Tod’s lucide anche se al prezzo d’un cervello grossolano preso ai saldi.
           Arriverà il fondo della nostra caduta? Non so se sperarlo o temerlo.

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