Leggevo qualche giorno fa, fra le pagine della mozione “Per il partito democratico” che sostiene la candidatura di Fassino per la rielezione alla guida della Quercia (per quello scorcio di vita che a quest’ultima rimane), che il nuovo partito, il Pd appunto, sarà, per spiegarlo con le parole di Veltroni, “equidistante dall’impresa e dal lavoro”. Come già ha fatto notare Epifani, questo significa dire che, per il Partito Democratico, lavoratore e impresa saranno equivalenti. Come forza politica di sinistra non è certamente un buon inizio. Ora, non è che mi aspettavo di trovare sul frontespizio di quella mozione una riproduzione del “Quarto stato”, ma nemmeno un primo piano d’autore di Montezemolo. Stiamo sempre parlando del congresso dei Ds? Di quel partito che nasce dall’evoluzione del Pci? Del più grande partito della sinistra italiana figlio del più grande partito comunista occidentale? Se è così, quella idea di considerare alla stessa stregua il lavoratore e l’impresa è quantomeno fuori luogo (piccolo inciso numerico: la parola “lavoratore/i” compare, nelle 35 pagine del documento, solamente tre volte).
Ciò detto, i cavalieri del Pd ci raccontano di come la flexsecurity può essere la panacea per i mali della precarietà del lavoro. Un’idea ammaliante, non c’è che dire (che come sonorità e aspetto potrebbe sedurre anche me, salvo poi, per puro vezzo speculativo, spingermi al fondo delle cose e cercare di vedere la realtà). In sostanza ci dicono questo: uno, il mondo è cambiato; due, bisogna considerare il tutto nella sua sfera globale e, quindi, dover fare i conti con le leggi del mercato mondiale e le esigenze della produzione attuale; tre, per tutelare il lavoratore in un siffatto scenario, senza andare contro corrente rispetto ai tempi ed ai modi del mercato, si deve dare corso a processi in grado di garantire la sua sicurezza nei passaggi da un lavoro all’altro e nei tempi in cui lo stesso lavoratore sta senza far nulla attraverso la messa in campo di strumenti ad hoc quali, ad esempio, ammortizzatori sociali, periodi di formazione, aiuti al reddito, e altri.
Cercherò di dare un’altra visione di questi tre punti affrontandoli in ordine inverso, partendo cioè dall’ultimo. La flexsecurity, in buona sostanza, prevede che, quando il lavoratore perda il proprio lavoro, lo Stato intervenga a sostegno del suo reddito. Detta così, nulla questio, se ciò fosse fatto solo quando è estrema ratio. Il problema è che così facendo, il capitalista (che bello chiamarlo ancora così), se gli aggrada, o se gli torna utile e non necessario (come spesso abbiamo visto ripetersi, specialmente nel nostro “sistema Paese”), mette in mezzo a una strada gli operai (altro termine desueto ma affascinante) tanto “paga pantalone”, con buona pace della forza contrattuale sindacale e a tutto vantaggio della “propria” pace sociale. Flessibilità e sicurezza: flessibilità del lavoratore, che, nell’idea dell’azienda, deve essere di schiena prima ancora che di impiego, e sicurezza dello status quo del capitale. Con il contentino “security” si tutela la barbarie “flex” e tanti saluti alle legittime aspirazioni di redistribuzione del reddito e della ricchezza.
Per considerare tutto nella sua portata globale, poi, ci sarebbe da ricordare a chi ci vende queste medicine che è difficile pensare che, visto che si tratta di mondo, la cura è a base di Partito Democratico e Compromesso Storico mignon. Parlando di numeri, quelli che sembrano dettare il “verbo” nel mercato globale, il trenta per cento dell’elettorato italiano a cui aspira il Pd è ben poca cosa in rapporto, ad esempio, al nuovo socialismo che in sud America vede protagonisti e partecipi centinaia di milioni di esseri umani. Se del mondo si vuole parlare e a una visione globale e futura ci si appella per giustificare i propri atti qui e ora, si abbia però il coraggio di dire che questi su quelli incideranno ben poco. Oppure, sia data l’onestà di chiarire che il Pd col mondo, con la sinistra o con altre nobili idee non c’entra nulla, mentre il suo cordone ombelicale è congiunto a una visione provinciale e piccolo-borghese che mira a tutelare qualche interesse più o meno diffuso con l’esigenza di stare al Governo.
E infine, se il mondo è cambiato, così come ci sentiamo dire, e se quello che abbiamo qui è il risultato di quel cambiamento, allora perché non pensare di poterlo cambiare ancora. Se il mondo, se la società mondiale resta uguale o cambia sono sempre gli uomini a volerlo. Non viene mica qualcuno da Marte a dirci come devono andare le cose? E se sono gli uomini a far ciò, possono essere loro a far sì che le cose vadano diversamente, non dico meglio in assoluto, ma almeno “più giustamente”. Utopia, sogno, visione, follia: socialismo è come lo chiamerei io, uno slancio verso qualcosa di meglio, come ci ha insegnato a vederlo Gaber. O socialismo, o barbarie, come ci ammonì Rosa Luxembrug; o lottare per una società più giusta, o lasciarsi trasportare e travolgere da leggi del mercato che ci avranno pure mandato sulla luna, ma per le quali e con le quali miliardi di persone ancora oggi soffrono la fame. Io scelgo la prima strada: voi?