Intelligenti pauca

Buon giorno a tutti,
            ieri leggevo l’intervista rilasciata dall’onorevole, ex a questo punto, Giuseppe Molinari al giornalista del “Quotidiano della Basilicata” Salvatore Santoro. In quelle colonne, Molinari si rammaricava di essere stato “truffato” (parole sue) oltre che dalla legge elettorale che non prevedeva la possibilità, per l’elettore, di indicare la preferenza, anche dagli organi dirigenziali della Margherita, il suo partito, sia a livello regionale che nazionale. Le due dirigenze del partito di Rutelli, a detta dello stesso Giuseppe Molinari, avrebbero nascosto a lui alcune cose, ordendo alle sue spalle un vero e proprio complotto. Ci dice l’ex parlamentare che, oltre che dalla riforma elettorale (cito ancora dall’articolo su “Il Quotidiano” di ieri) “Sono stato truffato in un secondo momento dalla Direzione nazionale della Margherita quando è stata approvata la lista al Senato con il mio nome (di Molinari ovviamente, nda) e contemporaneamente veniva approvata una delibera che sanciva il fatto che chi non si fosse candidato degli allora parlamentari, avrebbe potuto fare il sotto segretario. Io non ero a conoscenza di questa cosa perché altrimenti avrei potuto fare la scelta di non candidarmi e propormi per questa opzione”. E lo stesso Molinari nell’intervista di ieri continua per sostenere la sua causa dicendoci che: “C’era l’impegno dei vertici nazionali del partito in caso di vittoria del centro sinistra al governo: Antonio Boccia avrebbe fatto il sottosegretario dimettendosi dal Parlamento. Se questo fosse avvenuto io, in virtù del secondo posto nella lista, sarei entrato al Senato come primo dei non eletti”.
Che strano, dove ho già sentito un discorso simile? Ah, ecco, sono le stesse parole che qualche giorno l’anche lui ex onorevole dei DS Salvatore Adduce ha consegnato al giornalista de “La Nuova” Rossano Cervellera, ricordando ai lettori della testata lucana che c’erano precisi accordi che prevedevano, in caso di vittoria del centro sinistra, che Bubbico sarebbe entrato nella squadra di governo di Prodi, dimettendosi da parlamentare, consentendo così ad Adduce, primo dei non eletti, di approdare a Palazzo Madama. L’ex onorevole, nell’articolo su “La Nuova”, ci diceva inoltre che gli accordi prevedevano, nel caso egli non fosse andato al Senato, la possibilità, per lui, di un posto da assessore regionale. Molinari, invece, ci ricorda che nel suo caso, come compensazione, si era parlato della presidenza dell’Asi Potenza, il consorzio degli industriali potentini, o del posto da amministratore unico dell’Azienda di Promozione Turistica di Basilicata.
Stimo sotto il profilo umano e politico sia Salvatore Adduce che Giuseppe Molinari, ma in questo caso hanno avuto quantomeno una caduta di stile. Tanto più che lo stesso Molinari nelle sue dichiarazioni afferma, ovviamente senza lesinarne i toni improntati alla negatività che “la più grande industria che abbiamo in Basilicata è quella politica”. E forse ha ragione Molinari. Forse ha ragione anche Adduce. Ma non capisco perché, come ci ricorda lo stesso Molinari sempre nell’articolo di ieri, per portare avanti il percorso di rinnovamento iniziato dieci anni fa con la nascita in Basilicata del centro sinistra furono messi “da parte il segretario del Ppi e un’intera classe dirigente. Gente, per intenderci, come Gerardo Coviello, Donato Martiello, Donato Pettorusso, Tommaso Sorrentino e parlamentari a cui non demmo la possibilità di ricandidarsi come Carmelo Azzarà, Lillino Lamorte, Vincenzo Viti e lo stesso Emilio Colombo. Non consentimmo, addirittura all’allora presidente della Regione Basilicata, Antonio Boccia, di capeggiare la lista del Partito Popolare alle elezioni regionali, perché bisognava dare quel segnale di discontinuità chiaro”.
E perché allora andava bene ed oggi no? Dopo tutto, sia Molinari che Adduce la loro esperienza in Parlamento l’hanno già avuta, non si può anche in questo caso vedere la luce di un cambiamento?
Si, lo so, sto ironizzando. Forse ha ragione Molinari a dirci che la politica è un’industria: il fatto è che sia lui che altri non nascondono minimamente la volontà di ottenere, da questa industria di cui sono stati dirigenti, una liquidazione degna del ruolo, sia essa un posto da amministratore, da assessore regionale o da sottosegretario al governo.
Sempre la stessa storia: si è pronti a liquidare con ricche doti i manager, soprattutto quelli della politica, ma si tira la cinghia sulla possibilità di dare corso alla cassa integrazione guadagni per gli operai, che sono solamente quelli delle aziende vere, spesso con mogli e figli a carico. Totò commentava “e poi dici che uno si butta a sinistra”; io ora non so che dire.
Un’ultima cosa. Due giorni fa un amico mi chiedeva perché avessi abbandonato il partito a cui per oltre due anni sono stato legato, non nascondendo la volontà di scoprire se ci fossero “altre sirene” ad attirarmi verso diversi lidi. Avrei potuto rispondere che non me ne ero andato io, ma il partito a destra alleandosi con i Radicali, o che le scelte si fanno quando si discute con la propria coscienza prima che con le proprie idee, o ancora che, indipendentemente da tutto, è necessario crederci in qualcosa per farla con efficienza. Avrei potuto, ma non l’ho fatto, dando a lui la convinzione di aver ragione sul discorso delle sirene, quasi a sostegno dell’idea che l’adesione ad un’idea politica non è tanto la testimonianza di un voto per un progetto, ma la riconoscenza di un ex voto per grazie ricevute.
Sarà, è solo che non ho risposto. Non ho dato a questo mio amico, politico a tempo pieno, che citava, quasi rinfacciandomi, il rammarico per il mio abbandono del partito espresso anche da un altro nostro amico comune, anch’egli politico di professione, nessuna spiegazione per lui chiarificatrice.
Però che strano. Mentre pensavo alle risposte che non ho dato, nella mente mi suonavano i primi quattro versi della canzone “Un Blasfemo”, dall’album “Non al denaro, non all’amore, né al cielo” di Fabrizio De André: “Mai più mi chinai e nemmeno su un fiore,/più non arrossii nel rubare l’amore/dal momento che Inverno mi convinse che Dio/non sarebbe arrossito rubandomi il mio”.
           Come i Latini: “Intelligenti pauca”.          

Questa voce è stata pubblicata in Uncategorized. Contrassegna il permalink.

Lascia un commento