Prendi i soldi e scappa

Ben ritrovati,

            ci sono delle vicende, purtroppo sempre più frequenti, nella vita politica e amministrativa della nostra Regione, la Basilicata, che sempre di più assomigliano a situation cinematografiche.

            L’ultima, ma solo in ordine di tempo, è quella che vede protagonista la Natuzzi SpA, il noto produttore di divani di qualità. Il suo piano di riorganizzazione, infatti, dopo essere stato subito criticato dai sindacati di categoria lucani perché, di fatto, si traduceva nella chiusura della produzione nei due stabilimenti materani di Iesce e La Martella, con la trasformazione di quest’ultimo in un pomposamente non meglio definito “polo logistico” – nei fatti un magazzino – finalmente, per l’Azienda s’intende, è stato approvato. C’è di più. Dinanzi agli esponenti dei Governi nazionale e regionale, l’Azienda ha illustrato nuovamente il proprio programma di riorganizzazione, raccogliendo, poi, la firma per espressa accettazione delle organizzazioni sindacali pugliesi, ma, ovviamente, e ci mancherebbe, non di quelle lucane.

            A parte il fatto che non credevamo ci potesse essere tanta mancanza di solidarietà fra sigle sindacali omonime a riguardo delle sorti del medesimo gruppo aziendale, non riusciamo proprio a comprendere le scelte dell’Azienda. Ancor meno,a riguardo, i segnali di soddisfazione espressi dall’assessore alle attività produttive della Basilicata Donato Salvatore e dal presidente della giunta lucana Vito De Filippo. Certo, il piano è comunque frutto di una trattativa fra sindacati, Regione e Natuzzi, ma non credo ci siano i requisiti per definirlo un successo. Anche perché, al sodo, il piano si traduce in un provvedimento di cassa integrazione speciale di 24 mesi per ben 308 lavoratori. 308 lavoratori che si aggiungono ai 200 che già “beneficiano” dello stesso trattamento. La Natuzzi aveva definito la fine della produzione negli stabilimenti materani un problema relativo per i dipendenti. Anche perché, affermavano i vertici aziendali, si sarebbe trattato per gli stessi lavoratori di un trasferimento di qualche migliaio di metri (Matera confina con la cittadina pugliese Santeramo in Colle, sede del gruppo e degli stabilimenti che assorbiranno parte dei lavoratori). Anche qui, a parte che non capiamo perché i lucani possono spostarsi e l’Azienda no, visto che solo di qualche metro si tratta, i discorsi precedenti coprivano la realtà: la cassa integrazione per 308 dipendenti. In gran parte lavoratori lucani.

            Ha fatto bene il sindacato lucano a non firmare; quasi a voler dire Basta. Interventi straordinari del governo regionale, stanziamenti, formazione per i lavoratori, e poi nulla: “Prendi i soldi e scappa”, appunto. Degli ultimi 500 dipendenti in cassa integrazione, oltre 300 sono lucani…c’è poco di cui essere soddisfatti. E purtroppo Natuzzi non è l’unica azienda ad abbandonare la produzione nella nostra regione. Barilla è un’altra, con l’aggravante che mentre Natuzzi è di Santeramo, di una terra confinante e contigua, Barilla è pure del Nord, proveniente cioè dalle più ricche zone d’Italia, e dove soventemente si considera la nostra regione come un piccolo dominio coloniale. Barilla va via, mentre la Fiat resta, ma non senza colpe. Sullo stile di “Arrivano i giapponesi”, la Fabbrica Torinese per antonomasia, infatti, come i giapponesi del film, pensa bene che per lo stesso numero di ore, un lavoratore dello stabilimento lucano di Melfi debba essere pagato meno del suo collega torinese. E quando gli operai sbottano e fanno presente all’Azienda che, dato che sono pagati meno dei loro colleghi, non riescono a capire per quali motivi dovrebbero essere sottoposti a turnazioni più pesanti e alienanti, il gruppo degli Agnelli/Elkann (e vi evito le facili battute) si stupisce e si meraviglia, magari, ma non ho prove per affermarlo, pensando che la protesta sia mossa solamente dalla celebre “mancanza di voglia di lavorare” tipica dei meridionali. Praticamente come i nipponici del film pensavano degli americani.

            Basta…Se non possiamo evitare che gruppi aziendali chiudano con tanta facilità i loro impianti lucani, cerchiamo almeno di non fornire loro i soldi per comprarsi il nuovo set di valige quando lasceranno la nostra Terra. Cerchiamo di favorire le aziende radicate sul territorio con investimenti mirati, contrastiamo la politica della lobby bancaria che raccoglie i fondi dei risparmiatori meridionali per investirli in progetti produttivi nel Nord Italia, favoriamo l’accesso al credito delle imprese lucane, aiutiamole a crescere, soprattutto credendo in loro e nei loro prodotti, interveniamo su infrastrutture e servizi ed evitiamo di lanciarci in bandi per aziende trevigiane, che poi mai si sono viste.

            Un ultimo interrogativo, più che altro un dubbio. Non è che qualcuno si è davvero convinto che a noi in Basilicata, per vivere ed essere felici, basta solo “Pane, amore e fantasia”?

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