La tragedia del disinteresse per l’altro

«Strage dell’avidità», hanno titolato un po’ tutti i giornali, dopo il drammatico e doloroso incidente della funivia Stresa-Mottarone, in cui hanno perso la vita 14 persone. Non starò qui a ricordare i fatti, che fan già male per quanto sono stati commentati in questi giorni. E non dirò nemmeno che non è come scrivono i giornali, che cioè quella disgrazia sia stata il frutto dell’interesse e del profitto, al di là delle precauzioni e delle regole; in parte, è così. Ma solo in parte, perché, più in generale, credo che sia anche altro.

Quella tragedia (e lo è proprio nel senso classico) muove da un fenomeno radicato nell’animo delle nostre società e, temo, diffuso in quello di tutti noi che le componiamo: il disinteresse per l’altro. Nella sua radice profonda, la strage di quella funivia alpina non differisce da quelle delle imbarcazioni del Mediterraneo. In un caso e nell’altro, si raccolgono i frutti dell’egoismo, di esistenze limitate al proprio particolare e, appunto, del disinteresse per le sorti altrui. E siccome la tragedia è sempre un fenomeno complesso e segue solitamente svolgimenti complicati, l’immensità del dolore che si prova guardando a entrambe dimostra come, a quel demone, nessuno di noi può fuggire e tutti possiamo essere sacrificati.

Triste, infine, è la durata della compassione pubblica, che già sappiamo tutti limitata al tempo necessario a far arrivare su quelle stesse prime pagine dei giornali – o sulle nostre bacheche social – altre notizie ed eventi idonei a sollecitare la nostra indignazione e commozione, senza lasciarci però in dono la capacità di andare oltre quello che nel momento siamo portati, indotti a provare, senza che da questi sentimenti maturi una vera coscienza collettiva, e individuale, sulle reali cause dei problemi per cui piangiamo.

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