«Does any of this sound familiar?»

Devo dire che l’offerta di giornali della Lufthansa è sempre ricca e interessante. Ma siccome martedì era il giorno delle consultazioni di midterm americane, mi sono diretto sul New York Times (la Faz l’ho presa, confesso, ma messa in valigia per non far la figura dell’imborghesito e perché il tedesco lo leggo con maggiori difficoltà di quelle affrontabili in un viaggio aereo tra Berlino e Torino, con cambio a Monaco e bimbo stanco). Andando al dunque, nella sezione delle opinioni, David Leonhardt scriveva in articolo da Budapest per l’edizione internazionale del quotidiano newyorkese del 6 novembre scorso: «What Orban has done is to squash political competition. He has gerrymandered and changed election rules, so that he doesn’t need a majority of votes to control the governement. He has rushed bills through Parliament with little debate. He has relied on friendly media to echo his message and smear opponents. He has stocked the courts with allies. He has overseen rampant corruption. He has cozied up to Putin. To justify his rule, Orban has cited external threats – especially Muslim immigrants and George Soros, the Jewish Hungarian-born investor – and said that his party is the only one that represents the real people. Does any of this sound familiar?».

Più o meno alla lettera, l’opinionista del Nyt, parlando di una «minaccia di orbanismo in America» spiegava: «Ciò che Orban ha fatto è stato schiacciare la competizione politica. Ha applicato metodi di gerrymandering (nota mia: processo di manipolazione dei confini dei collegi elettorali per indirizzare i risultati in un senso o nell’altro) e ha cambiato le regole delle elezioni, in modo da non aver bisogno della maggioranza dei voti per controllare il governo. Ha affrettato i processi legislativi del Parlamento attraverso una riduzione del dibattito. Ha fatto affidamento sui media amichevoli per amplificare il suo messaggio e diffamare gli avversari. Ha riempito i tribunali di alleati. Ha supervisionato la corruzione dilagante. Si è unito a Putin. Per giustificare il suo dominio, Orban ha citato minacce esterne – in particolare gli immigrati musulmani e George Soros, l’investitore ebreo di origine ungherese – e definito il suo partito l’unico che rappresenti le persone reali. Qualcosa di questo vi suona familiare?». Beh, per rispondere a Leonhardt, direi proprio di sì, nell’oggi e per l’ieri, sinceramente, al di là e al di qua di quell’oceano su cui il moderno Occidente si è andato formando e definendo.

E tristemente, quelle parole me ne hanno riportate altre alla mente, quelle con cui Liliana Segre, qualche mese fa, parlava della fine possibile e progressiva del mondo che conosciamo: «La democrazia si perde pian piano, nell’indifferenza generale, perché fa comodo non schierarsi, e c’è chi grida più forte e tutti dicono: ci pensa lui». Pian piano. Perché non si cade mai completamente e in un momento preciso, ma le fasi arrivano così, un po’ per volta, fino a che ci si trova immersi in qualcosa di orrendo da cui non riusciamo a uscire e dove non sapremmo dire come ci siamo arrivati.

Di questo, non so quanto volutamente, il Memoriale della Shoah di Berlino (costruito non lontano da dove passava il Muro, quasi a ricordare il doppio volto di una città al tempo stesso luogo dei carnefici di prima e delle vittime di dopo) è una dura simbologia. Avvicinandosi, quasi non ci si accorge di essere già sulle prime steli; ma andando avanti, esse diventano più alte, fino a catturarci in un reticolo che non fa vedere la luce, né l’uscita.  

I tempi sono differenti, i modi e le forme della storia anche. Però il fine di quelli che vogliono il potere per il dominio non è diverso, e la disattenzione rappresenta sempre il loro miglior alleato: ecco perché ogni dettaglio è importante. Ed ecco perché non possiamo stancarci di batterci per ogni diritto negato, soprattutto alle minoranze. D’altronde, non esiste una maggioranza tale e definita per sempre, ma è dall’unione di piccole parzialità che nasce, e di cui continuamente si costituisce, un popolo, una nazione, una comunità.

Il resto, sono solo slogan da demagoghi che posson sedurre, e che sempre tradiscono.

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