Paradigmi differenti

Ho visto la puntata su Matera della trasmissione Meraviglie, condotta da Alberto Angela per RaiUno e andata in onda lo scorso mercoledì 17 gennaio. Fatta bene, non c’è che dire. Senza troppa retorica, giustamente entusiastica, precisa nelle ricostruzioni, compatibilmente con il format del programma e le ragioni del medium. Complimenti, davvero. Su tutto, un passaggio di Angela mi ha colpito. Parlando dei Sassi e dello sgombero per legge negli anni ’50, in seguito alla scoperta “vergognosa” che politici cresciuti in altre realtà (e parlo comunque di giganti, quali De Gasperi e Togliatti) ne fecero quasi d’un tratto, ha ricordato che le condizioni di vita lì dentro erano difficili e angosciose, ma non significativamente differenti da quelle patite da altri in molte altre aree rurali all’epoca. Eppure, in quel caso si decise lo sgombero coatto, radicale, meglio, “sradicante”, mentre in altri il processo fu più graduale. Così, mi è tornata in mente una suggestione di Pietro Laureano, nel suo saggio del 2013 Matera, la sfida della memoria: architettura della fusione, su Lettera Internazionale (volume n. 118, in libreria col titolo Corpo umano, corpo urbano).

Scrive l’architetto e urbanista tricaricese: «I Sassi di Matera furono completamente spopolati dagli abitanti, costretti a spostarsi in nuovi quartieri negli anni cinquanta e sessanta, e le case grotta e il sistema di habitat trogloditico furono dichiarati una vergogna per la nazione italiana. L’intera comunità, con la sua identità e il suo passato, fu decretata inadeguata e posta ai margini della storia. Era estranea ai modi, ai tempi e alle necessità dello sviluppo – maschera del volto truce dell’emigrazione e della speculazione edilizia. Matera costituiva un modello scandaloso perché, basata sul risparmio delle risorse, sul continuo riciclo e sull’autoproduzione, era una minaccia per la società dei consumi». In effetti, quella che Carlo Levi vide come «la capitale della civiltà contadina» opponeva, nel tempo del “miracolo italiano”, lo stesso in cui la legge Sassi fu varata, una strenua e naturale resistenza al modello imperante e alla cui luce le decisioni della politica e delle istituzioni venivano prese e motivate.

Quel sistema consumistico che allora si affacciava sulla scena della storia, con tutta la sua foga compulsiva e totalizzante, non poteva tollerare che ci fosse chi gli si sottraesse. Resistere alla sua egemonia era quasi reato. È un po’ come riascoltare le parole dell’orazione civile di Marco Paolini sulla diga del Vajont, che leggeva in quella tragedia «il funerale dell’Italia contadina, di cui non interessava più nulla a nessuno». Quella società ancestrale, con tutti i suoi limiti e le sue difficoltà, stabiliva un rapporto di equilibrio con l’ambiente circostante. Questa consumistica intende affermare il proprio dominio su ogni cosa. Quasi che per lo stare al mondo ci fossero due distinti e contrapposti modelli: uno “atlantico”, fatto di comando e affermazione, e uno “mediterraneo”, connotato da concetti quali adattamento e convivialità.

Chiariamoci: non sto affatto dicendo che le condizioni di vita in quelle abitazioni fossero accettabili, come non lo erano quelle della gran parte delle fasce povere della popolazione italiana. Nondimeno, la soluzione per i Sassi adottata fu invasiva e non coordinata con il modo di vivere di quelle donne e di quegli uomini. Oggi che gli stessi luoghi li si riscopre in funzione cartolina, più o meno ragionata, quando non direttamente e solo scenografia, la riflessione su quel messaggio s’impone. Anche per dare un senso al ruolo di capitale europea della cultura che il prossimo anno Matera rivestirà.

Perché se è vero che il primo modello è quello che ha vinto e si è assicurato l’egemonia, mentre il resto, al massimo, è stato confinato a quote residuali, marginali e periferiche, e gli effetti di quel risultato sono quelli che vediamo, viene al contempo da sorridere oggi, ascoltando i dominatori parlare di «sostenibilità». Con Orazio: «Graecia capta ferum victorem cepit».

Pure la Grecia, in fondo, non fu altro che cultura del Mediterraneo raffinata e resa autonoma.

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