Sono qualunquista se non mi dico stupito dall’inchiesta fiorentina?

Sette docenti agli arresti, ventidue interdetti per un anno dall’insegnamento, oltre una cinquantina indagati. L’accusa: aver messo su un sistema di «sistematici accordi corruttivi tra professori di diritto tributario finalizzati a rilasciare le abilitazioni all’insegnamento secondo logiche di spartizione territoriale e di reciproci scambi di favori, con valutazioni non basate su criteri meritocratici bensì orientate a soddisfare interessi personali, professionali o associativi». Forte, di sicuro, ma non stupefacente.

E lo so che può sembrare una generalizzazione qualunquistica, ma intanto, il ripetersi dei cognomi e quell’impressione di casta chiusa nell’universo accademico italiano, a tutto poteva far pensare, tranne che a processi puliti e corretti nella selezione di docenti e ricercatori. Certo, nelle università italiane c’è tanta gente per bene e professionisti rispettabili. Io stesso ne conosco diversi; eppure, dai loro racconti, quell’idea di “partita pattata” nella definizione delle carriere esce corroborata. Capisco che alcuni possano vedere nella critica dall’esterno un elemento di demagogia, probabilmente alimentato dagli esclusi. Ma sono quasi sicuro che tale sentimento sarebbe decisamente più debole, se gli inclusi non avessero legami a vario titolo con gli includenti.

Ora, per carità, io sono un travet di modesto lignaggio, immeritamente impiegato a ben mille e duecento euro al mese ad appena mille e duecento chilometri da casa, dopo soli tre lustri di precariato, e non dispongo di strumenti idonei a sviscerare questioni complesse da cui sono distante. Quello che però non capisco è perché il problema non scoppi dall’interno (tranne rare eccezioni, come appunto quella da cui è partita l’inchiesta di Firenze), perché non siano tutti gli altri a farne saltare i meccanismi. Comprendo la paura di scadere nella semplificazione, ma non è necessario disporre di tutte le tessere di un mosaico per coglierne il senso. Anche se ne mancassero due o tre, la scena sarebbe ugualmente comprensibile.

A meno di non voler attendere di verificare se alcune famiglie effettivamente producano professori universitari in virtù delle qualità eccelse del proprio corredo genetico. Perché il tema è tutto e solo lì: non si mette in dubbio che chi è bravo davvero possa comunque riuscire a farsi spazio all’interno di percorsi difficili come quello dell’insegnamento universitario; al contrario, fa sorgere più di un dubbio la considerazione per cui, in alcuni gruppi, cerchie o famiglie, siano tutti talmente bravi da farcela ogni volta.

Ma dicevo, se va bene a chi di quelli vive, immaginate quanto possa interessare agli altri.

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