E si stupiscono che qualcuno non si fidi

Del pericolo per la qualità della democrazia che si nasconde dietro la proposta di multare quelli che non si attengono al programma e alle indicazioni dello staff del M5S ho già scritto in altra sede e non voglio qui ripetermi. Certo, il trasformismo è un problema, ma la soluzione non può essere la limitazione dell’indipendenza degli eletti; dovrebbero saperlo i grillini meglio di altri, visto che si fanno paladini di quella Carta del ’48 che, art. 67, vieta il “vincolo di mandato” per i parlamentari e, è lecito pensarlo, in via di principio per tutti i rappresentanti eletti.

Quello che mi incuriosisce è il messaggio che si vuole dare: da un lato, si punta a punire i “traditori”, secondo la definizione di Di Maio; dall’altro, implicitamente, il M5S dichiara di non fidarsi di quelli che candida alle elezioni. E per i quali, ovviamente, chiede il voto, e quindi la fiducia, agli elettori. D’altronde, se non fosse per diffidenza, per quale altro motivo chiedere una sorta di polizza fideiussoria da 150 o 200 mila euro?

Ora, l’elettore medio potrebbe chiedersi perché mai dovrebbe affidarsi lui a quelli di cui nemmeno chi li candida si fida, ma lasciamo stare: su questo, diranno le elezioni. Pensare che solo attraverso sanzioni pecuniarie ci si garantisca da fenomeni come quello dei “voltagabbana”, altro termine che prendo dal glossario dei leader grillini, è un po’ come ammettere che da quelle parti s’intende la politica esclusivamente come una questione di soldi, e che tutti abbiano un prezzo.

Mi si potrebbe dire, e in effetti mi è stato detto, che quel regolamento per le amministrative di Roma, come quello per le Europee, serve per garantirsi da quanti, con comportamenti e intenti disonesti, potrebbero saltare sul carro del Movimento solo per i loro interessi. Però, anche in quel caso la questione è mal posta: si affida, in potenza, l’amministrazione di una città grande quanto la Capitale, con annessa possibile gestione di appalti da milioni di euro, e si pensa che il disonesto si fermi davanti all’eventualità d’esser chiamato a rispondere in solido? Non regge.

Uno, perché il truffatore potrebbe mettere quei 150 mila euro nel conto delle malversazioni da compiere; due, perché quella clausola lì vale meno dell’inchiostro con cui è scritta. Il lestofante potenziale firmerebbe tutti i regolamenti che la Casaleggio & associati gli proponesse, salvo poi infischiarsene assolutamente, tanto in nessun tribunale reggerebbero quelle follie (peraltro, come si ricordava, palesemente incostituzionali) e non credo che gli editti dal blog e le espulsioni (depotenziate in partenza nel caso di ipotetici “cambi di casacca”) possano intimorire chi avesse intenti malandrini.

Quello che possono fare, invece, è confermare le tesi dei più acerrimi nemici di quel movimento e scoraggiare quanti potrebbero avvicinarvisi. Certo, non è una questione che mi riguardi direttamente, non facendo parte né dell’una, né dell’altra categoria: ma, come dicevo all’inizio, è un dispiacere notare lo scivolamento progressivo della qualità della democrazia nel Paese in cui si vive.

Stiamo parlando della seconda forza politica nazionale, a cui la prima replica in un modo che rischia di aumentare i pericoli. Alla follia barbarica dei cinquestelle, il Pd risponde affermando che è necessaria e urgente una legge sui partiti. In linea di massima, come non essere d’accordo con chi vuol dare piena attuazione all’art. 49 della Costituzione? Il rischio, tuttavia, è di una norma fatta “contro” un partito, dato che quel precetto è lì da settant’anni senza che nessuno sentisse il peso del suo monito, e con l’intento, nemmeno così nascosto,  di metterlo “fuori legge”. Per di più, dato che difficilmente i pentastellati parteciperebbero alla sua redazione, tale legge s’esporrebbe all’azzardo d’essere intesa come fatta dalla maggioranza per colpire la sua maggiore opposizione organizzata, tanto da far tornare alla mente le parole non certo di un sovversivo anarchico, Carl Schmitt: «Chi possiede il 51% potrà rendere illegale, in modo legale, il restante 49%. Egli potrà legalmente chiudere dietro di sé la porta della legalità, attraverso cui è entrato, e trattare come un delinquente comune l’avversario politico, che forse bussa contro la porta chiusa con gli stivali».

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