La casualità d’un incontro

Tempo fa, incontrai un anziano al paese con una storia come tante: la giovinezza passata troppo presto, tanta fatica per poco più del pezzo di pane che ogni giorno reggeva il goccio di vino per non cedere, vent’anni di Germania a far traversine nuove sulle ferrovie, dormendo con i compagni negli stessi vagoni che li spostavano lungo il lavoro, finalmente la pensione, un principio di tbc, una bombola dell’ossigeno per amica, e le poche abitudini e le molte parole apprese all’estero subito scordate, come presto s’asciugano al sole le pietre di fiume, per usare un’immagine di Carlo Levi.

Niente di strano, dicevo. Quello che mi colpì fu la sua risposta quando gli chiesi, non senza cedere alla retorica sentimentale e a quel concetto di nostalgia mutuato dai ricchi, gli unici che han qualcosa da rimpiangere dei posti che lasciano, se la sua terra non gli fosse mai mancata. “I tre tomoli alla Difesa? No, anche se li avesse portati via la frana, non avrei perso un granché”, rispose senza alcuna apparente ironia (Il “tomolo” è un’unità di misura di superficie agraria – con altro uso, anche di capacità per granaglie – corrispondente nella zona all’incirca a 4.000 metri quadrati, tre sono poco più di un ettaro, e la “Difesa” è una località a valle dell’abitato di Stigliano, con rese non certo da pianoro irriguo). Immagino dovesse essere davvero stupito lo sguardo che mi si disegnò sul volto, se egli poco dopo continuò: “capisco ciò che intendi, ma quella tua ‘terra’ non è affar mio, non più. La terra è sempre e solo di chi ce l’ha, gli stessi che la dicono pomposamente ‘nostra’ quando c’è da difenderla contro qualcosa o qualcuno, ma che son lesti a ribadirla ‘loro’ qualora, per caso, si parlasse di dividerla”.

Ci pensavo ieri, leggendo una pagina de Il paese dei coppoloni di Vinicio Capossela, anch’essa con forti accenti leviani: “Te lo danno il duebotte, per fare la rivoluzione, ma poi sono i politicanti a salire di posto […] e a scordarsi di chi con la lotta li ha alzati per le spalle. Così è sempre stato per contadini e briganti. […] Ardere la Storia un momento e poi rassegnarsi, finire a Sant’Angelo, coi ceppi nei piedi. O fucilati. Mentre quella, la Storia, rimane fuori dalle sbarre, incurante, nel comando degli altri”.

Ardere la Storia un momento, finire carne da cannone per un po’, morire per allargare o difendere i confini di una patria che il giorno dopo chiamerà i tuoi figli “terroni”, essere scordati nelle nevi di Russia o nei deserti d’Africa, sepolti, quando va bene, e dimenticati, questo sempre, perché solo chi ha vinto ha diritto d’essere ricordato. Mentre quella, la Vittoria, è un’altera signora, e mai la si vede lì dove stanno i cafoni.

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