Quo usque tandem abutere, Clemente, patientia nostra?

Salve a tutti,

e ben ritrovati. Se invece che cercare una mediazione, che si è poi sostanziata in una continua rincorsa al ribasso verso gli interessi campanilistici di un partito che per simbolo (perché le vicende della politica italiana le scrive un commediografo) proprio un campanile, Prodi, fin dalla seconda richiesta dell’Udeur si fosse ricordato di Cicerone e delle Catilinarie, forse, oggi non saremmo qui. Ed invece…

“Se passa il referendum mi dimetto”, “se non passa l’indulto mi dimetto”, “se Di Pietro non mi chiede scusa mi dimetto”. Ieri Mastella ha detto da Vespa che lui è il solo che si è dimesso realmente, non lo ha solamente minacciato. Ovviamente il buon senatore dimentica di dire due cosette: la prima, che si, si è dimesso ma dopo averlo minacciato per diciannove mesi e solo perché tanto è durato in carica; la seconda, si è dimesso da ministro, ma si guarda bene dal farlo da senatore. Certo se glielo si fa notare dirà che è stato eletto e non può tradire gli elettori, ma qualche maligno potrebbe pensare che non lo fa per non dover rinunciare ai tanti benefici, immunità parlamentare inclusa.

Finalmente, ora Prodi fa una dichiarazione degna di quell’atteggiamento che un politico dovrebbe sempre avere. Parlamentarizzare la crisi è giusto. Se questo governo deve finire, deve finire con un voto di sfiducia dato dalle camere. Perché in nessun articolo della Costituzione è scritto che le crisi di governo si aprono e si chiudono a “Porta a porta”. E su questo, grazie a dio, il buon Romano ha voluto fare chiarezza una volta per tutte.

Ma il Professore, nel suo discorso di oggi alla Camera, ci ha detto anche altro di importante. Soprattutto ha fatto capire che non ha alcuna intenzione di continuare a vedere l’intero Paese essere preso per i fondelli da chi ha buon donde a rimestar nel torbido. “Se lo snodo è la legge elettorale o altre riforme è bene che questo venga alla luce qui in Parlamento”, ha detto il Presidente del Consiglio. Ergo, cacciate i rospi e dite le cose per quelle che sono.

Inoltre, cosa altrettanto importante, e che mi ha suggerito l’assimilare questa vicenda ai fatti di Catilina (oltre, ovviamente, al fatto che come Catilina tramava contro Roma dichiarandosene difensore, anche Clemente lavorava alla fine dell’Unione nel mentre si ergeva a difensore del centro sinistra), è il fatto che Prodi a Montecitorio ha ricordato che “Mastella non è stato lasciato solo”. E, ma questo non poteva dirlo per ragioni di bon ton politico/istituzionale, sapesse Clemente quanti “pizz’c ngopp a panz”, per citare il grande Eduardo, tutto ciò è costato a buona parte della maggioranza.

Ora che succederà? Non lo so di preciso, ma non la vedo bene per il Governo. Domani pomeriggio è previsto il voto di fiducia alla Camera. Chiti ha invece fatto sapere che giovedì alle 15 Prodi dovrebbe riferire anche al Senato, chiedendo poi anche a quell’aula la fiducia. E se i voti non dovrebbero mancare a Montecitorio, a Palazzo Madama, con il distinguo già annunciato dall’ex Prc Turigliatto, la cosa è davvero complicata. Vedremo.

Girava poc’anzi una dichiarazione della Bindi che lasciava aperta la possibilità di “riprendere il dialogo” con Mastella. Fabris ha invece fatto sapere, poco dopo, che l’Udeur voterà “no” in tutte e due i rami del Parlamento. Sotto, sotto, quasi, quasi, è meglio così. Immaginatevi cosa potrebbe significare quel “riprendere il dialogo” auspicato dall’ottima Rosy; e quante volte ancora, si dovesse mai arrivare a ciò, ci torneranno in mente le prime parole dell’incipit ex abrupto (che però in questo caso lo sarebbe poco) della prima delle citate orazioni ciceroniane contro Catilina: “Quo usque tandem abutere, Clemente, patientia nostra?”.

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