Viva l’Italia

Ben ritrovati,
            e viva l’Italia, foss’anche solo quella del 9 luglio del 2006. Misura e metafora di molte cose, la Nazionale ha riacceso, fondamentalmente, una grande speranza. E’ proprio quando ciò che essa più rappresentava, il calcio nazionale appunto, sta toccando forse – e speriamo di si perché più in basso di oggi è difficile scendere – il suo punto più infimo. Come dire, il calcio finito nel fango, o peggio, che si rialza, lotta soffre e vince. E torna alla mente De André: “dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior”.
            Soffre e vince, ma anche fa soffrire e vincere. Proprio quando tutti ci davano per spacciati, quando eravamo diventati i paria del Gran Mondo del Pallone, eccoli lì, i nostri quasi operai del campo con le porte, pronti a sfoderare una grinta che immaginavamo persa. Eccoli lì a lottare contro i padroni di casa tedeschi, il loro stadio talismano e settantamila urlanti teutonici pronti a fischiare ogni nostra sortita ed a urlare incitamenti ai loro undici paladini. Eccoli lì, a testa china come solo sa stare chi lavora, senza sottomissione ma con abnegazione al compito, a sfidare chi qualche giorno prima ci aveva definiti “specie di vita parassitaria, viziati e mammoni”. Eccoli lì, contro l’incubo gallico del 2000 pronti a riprendersi ai rigori ciò che i transalpini ci avevano tolto con l’aberrante regola del golden gol; e con gli interessi, visto che allora era un europeo ed oggi è un mondiale.
            Eccoci lì, tutti, sul tetto del mondo/pallone a sollevare con tutti, nelle piazze ed in quello stadio reso famoso dalle gesta di Owens, la coppa d’oro e le sue immagini, colorando d’azzurro il cielo sopra Berlino e quello delle tante città che abbiamo affollato. 
            E ora la dietrologia sarebbe fin troppo facile. Abbiamo taciuto per un mese, mentre Beckembauer minacciava che avremmo pagato il clima di tensione di “calciopoli”, mentre i settantamila di Dortmund fischiavano il nostro inno, la stampa tedesca incitava al boicottaggio della pizza, i francesi si auguravano che ci andassero di traverso gli spaghetti, e tanto altro ancora.
            La pizza, noi, l’abbiamo mangiata, e con wurstel e crauti per giunta. E per toglierci la sete, ci siamo scolati quella bottiglia di champagne annata 2000 che da troppo tempo stava in cantina. Noi siamo sempre i brutti anatroccoli, pronti a fare outing e condannando in coro il gesto scriteriato e criminale di De Rossi nell’incontro con gli Usa. Noi siamo quelli “cattivi”, quelli che giocano male perché solo così gli “italiani sanno stare al mondo”. Già. Ma i fatti raccontano un’altra verità, distante dagli stereotipi inventati dai popoli germanici, che ci hanno per secoli considerati “europei inferiori”, vero e proprio scandalo in casa di cui vergognarsi.
            Noi però non abbiamo fischiato l’inno tedesco, loro, invece, i signori educati e civili lo hanno fatto con il nostro. Il nostro Materazzi era il calciatore da espellere per principio, scorretto e incivile sul campo, mentre Monsieur Zidane era l’uomo che, a sentire la stampa internazionale, incarnava il vero spirito decoubertiano, il simbolo del mondiale; peccato che sia stato il francese a colpire con una testate a gioco fermo l’italiano.
            E che dire poi del fatto che proprio Trezeguet, l’autore di quel bruciante golden gol del 2000, sia stato l’uomo che, con il suo penalty sbagliato, ci ha regalato la gioia di vincere, finalmente anche noi, ai rigori.
             L’ho già detto, è troppo facile quando si vince essere ironici e cattivi.
            Che dire più. Su quel campo metafora della vita hanno vinto i migliori, come si era augurato Chirac ad inizio gara. Hanno vinto i sempre fuoriluogo italiani, e per questo sempre a casa loro. Hanno vinto i senza schemi perché la vita e divenire, hanno vinto coloro che solo potevano vincere, perché avevano già perso tutto ciò che si poteva perdere. Ma c’era un altro sentimento che ha pervaso il mondo intero in questo mondiale. Dal popolo palestinese, ai cinesi, dagli israeliani alle mille etnie dell’India, fino agli immigrati turchi in Germania, il grande e trasversale popolo migrante l’altra notte ha tifato Italia. Contro la Francia degli immigrati, il più grande popolo emigrante d’Europa, simboleggiato da quella Calabria di Gattuso in cui il fenomeno è ancora fortemente presente, ha conquistato la sua vittoria.
            Grazie ragazzi per averci fatto vivere questo splendido sogno di mezz’estate, e speriamo che sia il sintomo di una voglia di riscatto in grado di contagiare il nostro Paese, troppo spesso pronto a piangersi addosso ed incapace di reagire. 
            Che la vostra rivincita sul campo sia da esempio e da stimolo. Grazie ancora ragazzi. E viva l’Italia.
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