Il traduttore aggregato alla commissione di valutazione delle domande per ottenere in diritto alla permanenza negli Stati Uniti, chiede a tre migranti italiani di raccontare tutta la loro storia e le vicissitudini occorse loro nei mesi trascorsi in America e anche prima, a cominciare dal viaggio intrapreso per attraversare l’Atlantico.
Traduttore/commissario: «Intanto […], come ti sei pagato il viaggio?».
Migrante: «Me lo pagò Nicola Salicini, l’agente di immigrazione che venne al mio paese, a Corleone».
Traduttore/commissario: «E ti ha fatto firmare una carta?».
Migrante: «Sissignore, mia moglie e io, insieme. Sulla casa, il terreno, la vigna; tutto. Per 250 franchi».
Traduttore/commissario: «Ti ha fatto pagare il viaggio 250 franchi? Ma se ne costa appena 115. Ma si può sapere perché vi fate truffare in questa maniera?».
Migrante: «Eh, eh, perché. Perché, chi ha studiato, le cose prima le sa, e poi le fa. Noialtri, invece, poveri ignoranti, prima le facciamo, e poi le capiamo».
Il dialogo riportato sopra è tratto da un episodio di Appena sbarcati, vecchia fiction Rai sulle condizioni degli emigrati italiani nel Nuovo Mondo (le sequenze che lo contengono, sono ora visibili su RaiPlay, Storie di Migranti – L’arrivo in America, breve quanto completo documentario su quegli anni di fine Ottocento, inizio Novecento). E credo sia esattamente il senso di tutto quello che, pure in forza di esperienze non diverse da quella lì raccontata, da un certo punto in poi, alla mia schiatta è stato insegnato. Capitò così che i figli e i nipoti dei contadini analfabeti delle tante Gagliano divennero insegnanti, avvocati, ingegneri, dottori, anche solo diplomati alla scuola dell’obbligo: imparando a sapere le cose, prima di farle. Almeno per evitare i raggiri di qualche agente di immigrazione capitato per lucro in paese, o di altri figuri e signori della sua forza e motivazione.
Potrei dire, parafrasando il Manzoni, che in quelle poche parole ritrovate per caso in un film a episodi di tanto tempo fa, sta il sugo della mia storia. Anzi, a proposito dei Promessi sposi, nelle pagine dell’opera magistrale del Manzoni c’era già quel messaggio, e proprio nei paragrafi in cui lo stesso autore propone «il sugo», il senso di tutte le vicende narrate.
Il XXXVIII capitolo del romanzo, infatti, si chiude con Renzo che ripercorre in controluce le sue vicende, cercando in esse un significato più profondo e morale, raccontando poi di quello che da esse aveva imparato. Nel presentarne i ragionamenti, l’autore ci racconta pure che: «Prima che finisse l’anno del matrimonio, venne alla luce una bella creatura; e, come se fosse fatto apposta per dar subito opportunità a Renzo d’adempire quella sua magnanima promessa, fu una bambina; e potete credere che le fu messo nome Maria. Ne vennero poi col tempo non so quant’altri, dell’uno e dell’altro sesso: e Agnese, affaccendata a portarli in qua e in là, l’uno dopo l’altro, chiamandoli cattivacci, e stampando loro in viso de’ bacioni, che ci lasciavano il bianco per qualche tempo. E furon tutti ben inclinati; e Renzo volle che imparassero tutti a leggere e scrivere, dicendo che, giacché la c’era questa birberia, dovevano almeno profittarne anche loro».
Già: se non per altro, per non soccombere a quella e alle altre birberie del mondo degli uomini.