Per quanto grande sia

«Come invertire la rotta?», chiede Roberto Fiori per l’edizione cuneese della Stampa del 24 ottobre 2022 all’imprenditore del vino e del cibo langarolo Bruno Ceretto, a proposito degli alti numeri di un turismo nelle colline albesi sempre più presente e che rischia, a parere di molti, di snaturare i paesi coinvolti. La risposta di Ceretto, che nella precedente lamentava l’eccessivo affollamento di presenze nei centri di Alba, Barolo o La Morra, gonfi «di visitatori che cercano tajarin e vini a 3 euro», è senza spazi per il dubbio: «Badando meno ai numeri e puntando tutto sulla qualità. La scorsa settimana un aereo privato partito da Hong Kong ha portato sei facoltosi gourmet a cenare da Enrico Crippa, nel nostro ristorante in Piazza Duomo, e a trascorrere qualche giorno nell’Albese. Tra cene e shopping di vini e tartufi, alla fine hanno saldato un conto di quasi 70 mila euro. Se questo è il livello raggiunto, dobbiamo essere coerenti e non perdere tempo con polenta e salsiccia». Insomma, i turisti vanno bene, purché non siano quelli poveri.

Un atteggiamento, quello che si scorge nelle parole dell’imprenditore piemontese, non nuovo e non isolato. Capita spesso di ascoltare reprimende contro lo snaturamento a cui i luoghi sarebbero sottoposti per effetto del turismo. E ovviamente, non di tutto il turismo, ma di quello di massa, numeroso, dei turisti più poveri, appunto. Un sentire che ho intercettato anche nelle parole di uno che, sulla scala del posizionamento ideologico, si immaginerebbe all’altro capo rispetto a Ceretto. Al Tg3 delle due e venti di sabato 26 novembre scorso, Mario Tozzi, parlando (peraltro puntualmente e con una buona dose di giuste idee e opportune analisi, sia detto per inciso) del terribile disastro che ha colpito Casamicciola e altri zone di Ischia, ha ricordato come si dovrebbe intervenire per «rinaturalizzare» quel territorio, «cioè riportare l’isola a quel paradiso che ci veniva raccontato dai viaggiatori mitteleuropei quando scendevano giù e facevano il Grand Tour». E credo che quello “scendere giù”, per quei viaggiatori del XVIII secolo fosse da intendersi altresì in senso sociale, dal loro raffinato mondo alle miserie, a tratti eccitanti e romanticamente meravigliose, dei luoghi in cui le masse menavano le loro grame vite.

Verrebbe agevole qui rispondere come Gaber – che pure ebbe poi in antipatia «la cultura per le masse» e il turismo diffuso e a questa collegato – al Ragazzo della via Gluck, quanto rischierebbe il tutto di scivolare nella banalizzazione. Perché sì, è ovvio che il consumo di suolo o il turismo invasivo sono più insistenti quando si mettono in gioco i grandi numeri. E i grandi numeri, per loro natura, sono presenti dove a determinarli sono le masse, e quindi, i poveri. Però è letteralmente antipatico, per l’orecchio mio, almeno, sentire il riverbero, in parole come quelle citate, più o meno velato, con intenzione o non volendo, del fatto che, si parli di attività ludiche o tragedie, il problema vada ricercato nella voglia dei meno abbienti di star più comodi, di avere anche loro qualche svago o quelle occasioni che ai ricchi non sono mai state negate.  

Il paradiso ischitano dei grandi turisti, lo era pure per chi strappava l’esistenza a quei costoni scoscesi, in dieci in una stanza e un piatto unico sulla tavola, sempre lo stesso, mai a sufficienza pieno? I tanti visitatori che ora stravolgono, in peggio, la vita di quanti vivono nei centri dei piccoli borghi o delle grandi città d’arte, fanno altrettanto con le casse di quanti, altrimenti, non saprebbero a chi vendere i propri servizi e prodotti, o in quale altra filiera trovar lavoro? E loro stessi, perché non dovrebbero avere il diritto di godere delle bellezze che riempirono e riempiono gli occhi di altri ospiti, o come questi trovar agio e confort nella dimora che abitualmente abitano? Perché sono tanti? Perché non sono così eleganti?

Sì, lo so: approfondire è inutile. Come so anche che, per dirla coll’avvelenato Maestrone, «per quanto grande sia», la schiatta di quelli che meno hanno e hanno avuto, si è ancora tra i primi ad aver letto due libri, ad esser cresciuti in case riscaldate e con l’acqua corrente, a essersi potuti permettere le gite, le vacanze, persino le visite ai musei e ai monumenti. Cogliendo appieno il disappunto degli altri che quelle cose le han da sempre avute.  

E dando a quel disappunto l’opportuno peso, s’intende.

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