Siete al governo, fatevene una ragione

Della vicenda che da tempo vede opposte la cialtroneria ben educata di Macron e il pressapochismo sguaiato di Salvini e Di Maio non discuterò i particolari. Così banali gli argomenti, tanto infimo il registro su cui si sviluppa che persino su questo blog decisamente naïf trovo imbarazzante il farne menzione. L’uno è semplicemente la versione in grisaglia degli altri, e gli altri niente di più che il primo con maggiore approssimazione e diversa presunzione. «E non ho altro da aggiungere su questa faccenda».

Quello che invece mi ha lasciato perplesso nell’endorsment di Di Maio ai gilets jaunes è stata la prospettiva nella quale il potente ministro del lavoro italiano si è confuso. Onorevole, mi permetta: lei non è più, e semplicemente, Gigino da Pomigliano d’Arco. Lei, eccellenza, è un uomo di governo, e fra i più importanti di questo (alcuni aggiungono «perciò», ma la ritengo una comoda spiegazione, mi creda) sciagurato Paese. Come può pensare di inverdire il suo partito ormai istituzionalizzatosi richiamandosi all’esperienza di chi le ruspe non le usa contro gli ultimi e i diseredati della nazione, ma cercando di abbattere, da fuori, le porte dei palazzi del potere?

Non perché sia atterrito io dalla prospettiva rivoluzionaria; perché non si addice questa alle vostre attuali collocazioni, alla vostra «passione ministeriale», alla «devozione alle cariche finalmente conquistate», per dirla con le parole che Canfora v’ha dedicato pochi giorni fa. Insomma, voi siete quelli che hanno ripristinato il reato di blocco stradale depenalizzato dal 1999 (guidava l’Italia il governo D’Alema, per dire), come potete fingere di essere pure quelli capaci di scendere in strada e dar fuoco alle vie della capitale?

Ripeto, siete al governo, fatevene una ragione.

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