Per quegli sposi, solo lustrini

Un matrimonio da favola. Così, quasi sempre, si dice delle nozze dei regnanti di vari parti del mondo, dei loro cadetti o dei rampolli delle migliori e più ricche famiglie. E tali, non di rado, sono, almeno per quelli a cui quel tipo di fiabe piace, non a chi, come me, è cresciuto nel mito e nelle atmosfere di altri e diversi racconti, di cui poco oltre dirò. Ma stiamo al punto: matrimoni come quelli lì, non possono essere sporcati dalle miserie della quotidianità.

E proprio per evitare l’impatto, anche solamente visivo, con la miseria, Simon Dudley, il presidente dell’assemblea comunale di Windsor, la cittadina alle porte di Londra con il castello più amato dalla regina, ha scritto alla polizia locale chiedendo di allontanare i senzatetto dal centro per non disturbare i turisti – per il «decoro urbano», si sarebbe potuto dire qui da noi, con un po’ più d’ipocrisia – soprattutto in occasione del grande afflusso di visitatori che ci sarà in maggio, per le nozze del principe Harry con Meghan Markle. Appunto; non s’azzardino quei cenciosi a figurare nella cartolina dello sfarzo regale.

Che ci volete fare, la realtà è questa: i ricchi sono belli, e i poveri brutti. E i secondi rischiano di scalfire il racconto dei primi. Che poi, quei primi, sempre e solo un racconto della propria esistenza cercano di mandare in giro, mai di questa la vera essenza. Un po’ come le fiabe che ci raccontano, dove a volte appaiono persino tristi, costretti a non poter vivere la vita di tutti gli altri e che loro, meschini, segretamente e appassionatamente sognano.

Come accennavo, non sono queste le storie con cui son cresciuto. E poco mi interessano le vicende di dame e cavalieri tristi perché costretti nei loro sontuosi alloggi. Non solo nel caso dei regnanti inglesi, in genere dico. Sarà che son d’altra schiatta e che è tutt’altro che blu il sangue che mi scorre nelle vene, ma non so immaginare lo svolgersi di giornate come quelle.

Eppure, c’è tutta una tradizione di principesse angosciate dalla scomodità di doversi sobbarcare la durezza di piccoli legumi sotto strati e strati di morbidi giacigli. Magari, chissà, è solamente perché quelle fiabe non me le hanno mai raccontate, o forse sì, e le ho dimenticate. Al contrario, quelle che ricordo, e con piacere, sono le favole piene di storie di furtivi animali che s’introducevano nelle cantine di ricchi signori per svuotarle d’ogni bene, stando però attenti a non impedirsi, ingrassando, la via della fuga. Di madri che cercano piccoli “Pollicini” persi, e che al sentire come risposta al loro chiamare «nella pancia della vacca», tutto sommato, trovan conforto, ché più dura sarebbe comunque stata la vita all’esterno (va spiegata: «nella pancia della vacca» è un’espressione che dalle mie parti suona un po’ come «nella bambagia», sebbene quel “Pollicino” intendesse dire in senso letterale). Di salariati tanto scaltri, almeno quanto sfruttati, da far passare come trasporto di paglia da imballaggio la sottrazione delle carriole usate per uscire dai cancelli del padrone.

Tutta gente e personaggi che Dudley non vorrebbe veder comparire durante il matrimonio di Harry e Meghan.

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