Parsimonia, o luddismo

L’attenzione spasmodica a ogni dato che viene pubblicato in tempo reale ha dell’assurdo, un po’ come l’impazzimento per i bulbi di tulipano nel XVII secolo. Certo, i numeri dei mercati e del Pil hanno a che fare con la vita di tutti, ma il seguirne l’andamento minuto per minuto serve solo ad aumentare i prezzi delle inserzioni pubblicitarie nei media che li ospitano. Allo stesso modo in cui il mondo non è finito per il -4 di giovedì, non diventerà un paradiso terreste in conseguenza del +4 di venerdì, fatto registrare da questo o quell’indice borsistico.

Così come, non c’è nulla nelle ultime stime sulla crescita italiana fatte dall’Istat che uno sguardo non obnubilato dalla propaganda non potesse leggere nella realtà. D’altronde, lo stesso istituto, nella sua nota mensile di gennaio, aveva segnalato il fatto che, a fronte di una maggiore disponibilità di reddito, le famiglie preferissero risparmiare invece di lanciarsi in consumi e all’acquisto di beni più o meno durevoli. Perché i nostri connazionali non credono nel futuro? Au contraire! Proprio perché sanno che il domani arriverà mettono da parte oggi quello che non hanno speso ieri.

Sarà la mia natura contadina, ma non riesco a capire il motivo per cui non dovrebbero comportarsi a quel modo. Insomma, consentitemi di declinare il tema al personale: posso permettermi la certezza di avere per sempre l’agiatezza che mi consentono i 1.200 euro mensili del mio stipendio? Assolutamente no. Tutto mi fa pensare che il mondo abbia in serbo brutte sorprese. Ogni giorno, un nuovo ritrovato della tecnica, una nuova forma di organizzazione del lavoro, una diversa integrazione tra i fattori della produzione, rende obsolete centinaia di migliaia di professioni, mestieri, capacità. Perché non potrebbe succedere a me?

Dagli spot delle compagnie telefoniche alle sortite dei ministri, sono sempre troppi quelli che raccontano delle magnifiche sorti e progressive di un avvenire in cui la tecnologia sostituirà la complicazione e la fatica e di quanto sia necessario andarle incontro modificando l’assetto del nostro stare nelle dinamiche del fare e del percepire, senza mai in che modo e di cosa continueranno a vivere quelli che prestano opera in cambio d’un salario. Per dirla in via d’esempi, un’app manda in strada, ma in un altro senso, migliaia di trasportatori di merci o perseone, un sito per l’home banking chiude centinaia di sportelli bancari con dietro altrettanti addetti, una linea di fabbrica automatizzata mette in mobilità decine e decine di operai. Perché questi non dovrebbero prevenire i tempi difficili, risparmiando?

Ovvio, potrebbero dar l’assalto a cielo delle macchine, in una forma di luddismo aggiornato ai tempi. Ma il problema è politico: sono quelli chiamati a fare le scelte organizzative e sociali che non vogliono in alcun modo assicurare il futuro, riducendo le prestazioni previdenziali, riducendo le garanzie occupazionali, riducendo tutto quello che in quel futuro potrebbe esser indispensabile.

Cambiare questo stato di cose, in una società ormai, temo, irrimediabilmente parcellizzata fra le esistenze dei singoli individui che la compongono, è difficile, arduo e con ogni probabilità al di là della vita di quanti devono con esso quotidianamente confrontarsi. La soluzione? Un’infinitamente crescente predisposizione alla parsimonia.

E non è detto che sia un male.

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