Sperando che il Moro di Treviri avesse ragione

«Hegel nota in un passo delle sue opere che tutti i grandi fatti e i grandi personaggi della storia universale si presentano, per così dire, due volte. Ha dimenticato di aggiungere: la prima volta come tragedia, la seconda volta come farsa». Con queste parole Karl Marx fa iniziare Il 18 brumaio di Luigi Bonaparte (Editori Riuniti, 2006, p. 43), riflessione in presa diretta sul colpo di stato messo in atto dal nipote di Napoleone che diventa occasione per approfondire le proprie analisi sociali e teorie storiche.

Resa autonoma dal contesto, quella frase spesso l’abbiamo sentita ripetere. E nel leggere le notizie sull’incarico conferito dal presidente federale austriaco Alexander Van der Bellen a Herbert Kickl per costituire il nuovo governo che dovrà succedere a quello guidato da Karl Nehammer, ho sperato (e spero ancora) che sia perfettamente corrispondente al vero. Questo per l’ottimismo della volontà; per quanto concerne il pessimismo della ragione, la sera stessa ho ripreso in mano Il mondo di ieri. Ricordi di un europeo di Stefen Zweig (Mondadori, 2017). Ritornando all’Austria, ciò che sta accadendo ricorda molto da vicino (pur se immagino il sentimento di quel galantuomo di Van der Bellen molto distante da quello dell’allora omologo tedesco Paul von Hindenburg) le sorti di un altro austriaco, per quanto in Germania, in un altro gennaio, quello del 1933: le trattative nel post elezioni tra le varie forze politiche vanno in stallo, il leader del partito di estrema destra riceve il mandato a costituire un esecutivo puntando sull’appoggio del partito popolare, questi ultimi temono le urne perché immaginano che i primi avanzino ancora, il contesto di contorno si divide tra i quelli che sottovalutano i rischi, quanti pensano di poterne trarre vantaggio, chi immagina che non durerà e i tanti che credono bastino le regole, il diritto e la legge a fermarne le potenziali derive peggiori. Vedremo.

Intanto, stiamo già osservando alcune cose, e tra queste il fatto che, al di là della denuncia della comunità di sentimenti tra alcuni ambienti d’estrema destra e altri d’estrema sinistra, il cosiddetto “rossobrunismo”, la realtà istituzionale ci pone davanti, in Italia, in Francia e ora in Austria, l’alleanza effettiva tra il centro, il centro-destra, soi-disant, “moderato” e la destra-destra, addirittura estrema in molte delle sue posizioni.

E poi la manifestazione di una realtà di fondo che possiamo negare, ma che bussa con forza alle porte delle nostre riflessioni: continuiamo ad evidenziare nelle approfondite analisi (e con indubbie ragioni) i limiti e gli errori delle élites politiche, soprattutto di sinistra, nel determinare le situazioni da cui nascono alcuni risultati elettorali; però dobbiamo anche dirci che quei voti arrivano pure perché la gente, liberamente, li dà.

Herbert Kickl ha fatto una campagna elettorale in cui non ha evitato di parlare di alcuni argomenti che, in politica e negli stati democratici d’Occidente, dovrebbero essere banditi. Il programma elettorale del partito che guida, l’Fpö (“Freiheitliche” credo che qui stia come “sozialistische” nei loro antenati d’ispirazione), è intitolato “Fortezza Austria” (e quel Festung rimanda proprio a quell’altro) e chiede, senza girarci intorno, la “remigrazione” degli stranieri non invitati – nei fatti, la loro deportazione –, la restrizione del diritto d’asilo e un rigido ed ermetico controllo delle frontiere. Il tutto, al fine di ottenere una società più omogenea.

Se un brivido ha percorso le vostre spalle, sono in buona compagnia. Eppure, dicendo l’indicibile, il “Partito della libertà d’Austria” è risultato essere il più votato nello scorso autunno, con quasi il 30% dei consensi. Uno su tre ha votato per loro. E io credo che sia arrivato il momento di cominciarci a chiedere seriamente quanti di questi lo abbiano fatto nonostante quei discorsi orribili e quanti, invece, proprio per quelli.

Se non altro per non dover scoprire troppo tardi quello che tristemente toccò in sorte a Zweig (op. cit., pag. 167) e ad altri nel suo tempo: «Avevo ormai vissuto dieci anni del nuovo secolo, avevo veduto l’India, una parte dell’America e dell’Africa, cominciavo a guardare la nostra Europa con nuova e feconda gioia. Mai ho tanto amata la nostra vecchia terra come in quegli ultimi anni prima della guerra, mai ho tanto sperato nell’Europa, mai ho tanto creduto nel suo futuro come in quegli anni in cui ci sembrava di assistere a una nuova aurora. Era invece già l’igneo riflesso dell’enorme incendio che s’avvicinava».

Questa voce è stata pubblicata in Senza categoria. Contrassegna il permalink.