Ne parlavo con più di un amico nei giorni scorsi: è curioso (per non dire sconfortante in alcuni, non secondari, aspetti) scoprire che i partiti che erano contrari a tutte le misure che hanno permesso, comunque si voglia intendere la gestione della pandemia da Covid-19, un alto numero di vite, siano i più premiati dal consenso popolare. E non si parlava solamente del nostro Paese, ma anche di altri, come l’Inghilterra, dove la gestione è stata a tratti scandalosa, e dove, di questo, non si parla affatto, degli Usa, in cui Trump e i più agguerriti conservatori, visceralmente contro qualsiasi restrizione, persino quella più di buon senso, sono dati in vantaggio alle prossime elezioni di mid-term, o addirittura il Brasile, in cui Bolsonaro che negava l’evidenza, non attuando quelle minime precauzioni che avrebbero potuto determinare un diverso effetto nella conta delle vittime, non è più presidente, certo e finalmente, ma sostanzialmente ha pareggiato, nello scontro elettorale con Lula.
E quindi, mi chiedo: quanti voti sono andati a chi criticava aspramente chiusure e limitazioni, proprio per l’atteggiamento eccessivamente intransigente (e come tale esibito) nell’approvazione – non di rado acritica e indisponibile al dubbio – verso queste stesse misure? Quanti sono stati allontanati o convinti a non avvicinarsi dal tifo per il drone a caccia dei patiti della tintarella, per le forze dell’ordine lanciate all’inseguimento di runner solitari, per gli elicotteri alla ricerca degli impuniti della grigliata sui tetti pasquali, per i controlli stringenti e i controllori strillanti, per i sindaci che si autocelebravano sui social nella denuncia degli indomiti del tressette, per i presidenti di Regione vittime del proprio personaggio che inveivano in monologhi rauchi contro gli habitué della passeggiata un po’ in sovrappeso e in là con gli anni, per ministri e questurini che invocavano, non tanto velatamente, la segnalazione all’autorità costituita da parte dei vicini e dei cittadini per bene verso chi invitava un parente in più a casa o quanti si fossero intrattenuti in più d’uno in strada (il colore, nel racconto, l’ho messo; i fatti, quelli no, non li ho inventati, e nell’internet potete facilmente ritrovarli), e ancora stigmatizzando chi, a nostro parere, non fosse ligio a tutte le misure che gli scienziati proponevano e i governanti recepivano? E tutto ciò, mentre per grosse parti della popolazione, per quelle stesse decisioni assunte, il reddito calava e le difficoltà si acuivano.
Qui, in questo post, non si discute della bontà sanitaria e per il contenimento del contagio delle scelte prese, ma dell’approccio che verso queste si è troppo spesso avuto “da sinistra”. Chiudere le scuole, per esempio, ha danneggiato maggiormente i più deboli; lo abbiamo detto abbastanza, noi che proprio a quei deboli avremmo dovuto guardare? Le meraviglie dello smart working hanno favorito persino la gestione famigliare, per i ceti medi riflessivi; e per tutti gli altri, l’alternativa alla chiusura e al calo delle entrate economiche, in che forme e in quali tempi si è avuta?
Ricordo uno striscione in spagnolo, appeso a un balcone nei primi mesi della pandemia: «La romantización de la cuarentena es un privilegio de clase». Abbiamo riflettuto abbastanza, su tutto quello che queste parole potevano significare, ne abbiamo discusso con gli interessati, abbiamo provato, senza pregiudizi, ad ascoltarli, o abbiamo dato del fiancheggiatore del negazionismo – come pure a chi scrive è capitato d’esser accusato, sebben non è di quel che è accaduto a me che voglia parlare – a chiunque provasse a suggerirci di tentar di far nostro per qualche istante un diverso e altro punto di vista?