Si trattengono le risa per rispetto dei morti

Quando tutto questo sarà finito, ci sarà chi saprà farne la storia. Ci saranno quanti riusciranno a trarne le lezioni più importanti. E quelli, e saranno i più, capaci di dire cosa andava fatto e come, per quanto tempo e in che misura. A tutti loro, fin da adesso, mi rifaccio per le cose che non scriverò in quest’articolo, e anche per quelle che, accuratamente, eviterò ora e cercherò di tener lontane in un domani che spero sia sempre più prossimo a venire. Qui, invece,vorrei parlare dei lati ridicoli molto più che comici di alcune delle cose che stiamo vedendo accadere, non nel dramma del contagio, ma fra gli attori delle risposte che ad esso si dovrebbero dare.

Le dirette social che annunciano a ore notturne decreti forti per il mattino seguente, e che al meriggio di due giorni dopo si scoprono rinviati di altri tre. Presidenti di Regione che danno appuntamenti all’O.K. Corral a tutti i familiari dei laureandi, minacciando lanciafiamme e rammaricandosi dell’impossibilità di adottare «metodi terapeutici» a base di piombo e polvere da sparo. Sindaci d’importanti città con problemi di altrettanta rilevanza che inseguono vecchi sulle panchine o s’appostano a presidio degli accessi ai supermercati, e altri di paesi in cui l’affollamento in piazza c’è al massimo il giorno della festa patronale che rilasciano video imbarazzanti nella malcelata speranza che finiscano su qualche trasmissione satirica della televisione nazionale, nell’agognato quarto d’ora di celebrità. Solo per il rispetto che si deve ai morti, oggi, non si scoppia a ridere dinanzi a simili cialtronate.

Ma sarei ingeneroso e mentirei, se dicessi che nel panorama politico, emergente, istituzionale o di governo, sia tutto così dozzinale nella sua comicità. In questi giorni di frasi fatte e dichiarazioni scontate, di urla all’emergenza e di caccia al colpevole (untore?), c’è stato pure chi ha avuto il coraggio di andare contro il senso comune, ricordandosi di quanti soffrono le privazioni, senza poter esser conteggiati perché irregolari o da sempre volutamente nascosti, e chi ha fatto ancora appello al suo buon senso, per dire ciò che il rumore di fondo rischia di coprire.

Oltre alle tante associazioni solidaristiche che vorrei esser capace di ricordare tutte, da Emergency a Medici senza frontiere, passando per la Comunità di Sant’Egidio, tre soli esempi da quel panorama (ma ce ne sono, e per fortuna, molti altri) vorrei trarre. Il movimento delle Sardine, senza rulli di tamburi, ha raccolto fondi per la Protezione Civile e acquistato mascherine protettive per i senzatetto delle regioni più colpite dall’epidemia. Il ministro per il Sud e la coesione sociale, Peppe Provenzano, che si ricorda di dover stare dalla parte degli ultimi e dice con forza che pure chi lavora in nero dovrà essere aiutato.

E Luca della Godenza, sindaco di un piccolo comune, Castel Bolognese, che in giorni di “dagli al podista” e “insulta la signora in giro col cane”, invitava tutti noi a «fidarci quando vediamo una persona per strada, perché non sappiamo se ha un problema di salute o di depressione che lo porta ad uscire. Mettere su Facebook la sua foto vuol dire esporlo al pubblico giudizio e giudicarlo, ma chi sono io per giudicare? Non sono tutto forti come noi che scriviamo sui social dicendo di stare in casa, ci sono anche persone che per motivi che non conosciamo ne hanno il bisogno. Non giudichiamole, la situazione è più difficile per loro. Chiediamogli di prendere tutte le precauzioni ma non urliamogli addosso. Non serve, e non servirà nemmeno domani. Facendo così giudichiamo negativamente noi stessi, prima di loro».

Con tutti gli altri che non ho menzionato, sono ben più di dieci giusti.

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