Something is rotten

In the state of Denmark, sono state profanate 80 lapidi in un cimitero ebraico. In Grecia, gli estremisti di un gruppo legato al partito di estrema destra Alba Dorata hanno pestato a sangue un avvocato che dà assistenza legale ai migranti. In Germania, qualche mese fa, un esponente politico della Cdu impegnato nella difesa e nell’aiuto di stranieri e migranti è stato addirittura assassinato.

In Italia, nelle ultime settimane, abbiamo dovuto scontare la vergogna nazionale di dover vedere scortata dalle forze dell’ordine una sopravvissuta di Auschwitz per le minacce ricevute. C’è un fantasma che si aggira per l’Europa, ed è molto più cupo e oscuro di quello che vedevano profilarsi alla metà dell’Ottocento gli estensori del noto Manifesto. È uno spettro terribile, che abbiamo conosciuto bene e a lungo, ma che pare non averci insegnato nulla, con la sua eredità di violenza, sangue e morte, se ancora oggi c’è chi può urlare la sua rabbia contro il suo prossimo, spiegando poi, pubblicamente e senza timori, che per lui l’altro sarà sempre diverso da sé, per il colore della pelle, la foggia degli occhi o il profilo del naso che sia.

È una storia vecchia, anche se, a turno, cambiano i protagonisti; si chiama razzismo. E puzza e fa schifo come le fogne da cui, periodicamente, riemerge. Ancora più schifosa è l’accettazione, se non accondiscendenza, che gli si avverte intorno. Pessimi sono i tanti cantori del «non sono razzista, ma». Peggiori, quelli che spiegano come il loro essere contro le migrazioni non sia mosso da xenofobia, ma spinto da una vogli di combattere lo sfruttamento, a cui i migranti sono sottoposti e con il quale, facendo leva su questo «esercito di riserva» (ché, curiosamente, le parole ritornano, come si diceva più sopra), pure tutti gli altri debbono farci i conti, se non soccombervi.

E mai una volta, nel loro dire, tantomeno agire, che attacchino gli sfruttatori e non gli sfruttati.

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