Non volete farla? Allora non fatela. Il resto è fuffa

La battuta sul governo del cambiamento che ha portato al cambiamento per il governo è così facile che non la farò. Ma di vero ha che i cinquestelle, da che sono assisi negli scranni ministeriali, di retromarce e giravolte ne hanno fatte più d’una, dall’impensabile, poco tempo fa, voto contro l’autorizzazione a procedere nei confronti di un ministro fino all’inconsapevolmente comico superamento del limite dei due mandati con l’istituzione del «mandato per scherzo», quello che non vale (entrambe le cose – il respingimento di una richiesta della magistratura da parte del Parlamento e la piena godibilità dell’elettorato passivo senza limiti di parte o partito –, per me, si possono fare; erano loro a dirsi contrari fino alla morte. Che forse, politicamente, non è poi così più tanto lontana). Quella sul Tav, però, le supera tutte. In ipocrisia.

Ricapitoliamo. Senza spiegare cosa sia cambiato da quando si diceva contrario, Conte ha affermato che quella ferrovia sotto le Alpi si farà. Senza aggiungere una virgola a modifica di quell’analisi “costi-benefici” sventolata ai quattro venti, il ministero guidato da Toninelli ha scritto, nero su bianco, che è favorevole all’opera. In sintesi, il presidente del Consiglio che loro hanno proposto e che ancora sostengono, in un governo di cui sono maggioranza, dice sì al Tav. Di più, il dicastero che uno di loro guida conferma, con atto ufficiale, l’avvallo all’opera. Loro, i grillini in Parlamento e al Governo, però fingono una contrarietà indisponibile a qualsiasi mediazione, pronta a votare no quando se ne discuterà nelle aule. E in tutto questo, si meravigliano se qualcuno osa dubitare di quello che dicono.

Ora, io a quell’opera sono e resto contrario, per ragioni che ho già detto e che non voglio, perché non avrebbe senso rispetto alla questione di cui scrivo adesso, riportare qui e ora.  Ma il tema esula il fatto in sé. Il M5S, fondamentalmente, non credo sia mai stato contrario al Tav per motivazioni inerenti esclusivamente al Tav stesso. Lo erano, secondo me, semplicemente perché dovevano essere “contro” a prescindere e a qualsiasi cosa fosse fatta da altri. Se, poniamo per ipotesi, il governo di Renzi o Letta o Berlusconi avesse detto «quell’opera non s’ha da fare», probabilmente, per spirito di contrarietà, si sarebbero detti favorevoli.

Esagero? Può darsi; ma è bastato un anno di governo per far andare in palese contraddizione la loro determinazione, a parole, su quello come su altri punti che, sempre a parole, dicevano fondanti e indiscutibili, non negoziabili e fermi a qualunque costo, della loro visione politica, del loro modo di stare nelle istituzioni.

Finché, in queste, non ci sono arrivati per davvero e in maniera significativa.  

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