Ho sentito «il boom». Ma m’è parso più un tonfo

Chissà come se la starà ridendo Napolitano sotto il cappello. Nel 2012, gli scappò quell’inattuale, per il momento, battuta sul boom di cui tutti parlavano rispetto ai risultati raccolti dalle liste del M5S alle elezioni. Disse che ricordava quello economico degli anni ’60, ma di altre esplosioni prodigiose non gliene veniva memoria. Oggi, dopo le votazioni in Sardegna e Abruzzo, devo dire che quel boato si sente ancora come allora, ma è più un tonfo, cupo, sordo, mesto.

E no, non vale dire che quelle nell’isola dei quattro mori, o all’ombra del Gran Sasso, siano state solamente amministrative, perché lo erano anche quelle di sette anni fa, quando sul risultato non dissimile dai numeri odierni veniva interrogato l’unico due volte presidente della Repubblica. Solo che all’epoca era un suono in crescendo; oggi, dopo i fasti delle politiche scorse e gli annunci roboanti del cambiamento realizzato, appare e si avverte un certo diminuendo, se non proprio uno smorzando. E non credo che sia una melodia piacevole alle orecchie degli attivisti grillini, se avessero davvero voglia di prendere contezza di quel che gli sta accadendo.

Certo, la si può vedere sempre come un Di Maio qualunque, e giudicare in buona forma il movimento, perché, ha ad esempio detto il candidato alla presidenza della Sardegna, prima in consiglio loro non c’erano e adesso sì. Dopotutto, come può non essere suffragato da una valanga spropositata di voti un partito che, appena ieri, urlava da un balcone l’avvenuta abolizione per decreto della povertà?

Appunto.

Risposte non chieste a domande ipotetiche. «Eh, ma ha vinto il centrodestra a trazione salviniana, cos’hai da festeggiare?». Nulla, infatti. Come nulla avrei avuto se avessero vinto i grillini, che da quello stesso Salvini si stanno facendo trainare nel governo nazionale. «E il Pd?». Boh; perché dovrei saperne qualcosa? «Ritieni che ci sia da festeggiare per la crisi dei cinquestelle?». Come sopra; non festeggio niente e nessuno. Certo, da sorridere c’è, eccome. E, lo ammetto, anche da preoccuparsi: per esempio, che fine faranno tutti quegli elettori in fuga? Cosa ne sarà delle loro istanze? Dove, e come, potranno trovar compensazione le tante richieste, aspettative, speranze?  

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