Accusare gli altri di essere borghesi non muterà la massa in un popolo

«A noi cafoni ci hanno sempre chiamati». È citando De Gregori e i suoi emigranti di terza classe che ho scherzato con un amico in una conversazione social per stemperare l’aria generata da una serie di commenti che ci accusavano, entrambi, di essere borghesi benestanti e per questo liberali. La sottigliezza di quei commenti stava nell’assunto per cui, in fin dei conti, non importava che lo fossimo davvero, benestanti, dico, ma che sentissimo di poter appartenere a quella categoria. Sagace, se non fosse smaccatamente scoperto come gioco identitario, probabilmente nemmeno autocosciente.

Credo, infatti, che il dar del borghese a chiunque, anche a chi viva esclusivamente del suo reddito da lavoratore dipendente, sia un modo oppositivo per riconoscersi parte di un qualcosa di ben definito. Nelle società di massa non è da escludere che ciò possa essere una sorta di reazione nel tentativo di arginare lo sfaldamento del concetto di popolo; dubito però che possa funzionare. Insomma, io li osservo quelli che a volte mi rivolgono critiche del genere (non di rado partendo da situazioni sociali ed economiche migliori della mia), e non vedo un popolo, ma tanta gente con interessi confliggenti perché parcellizzati, isolati. E penso a quando si parlava di come si costituiva davvero un popolo, di come questo maturasse in sé coscienza dei propri bisogni e quindi delle sue forze, «e di come era importante che la gente/ non fosse una massa di persone sole».

Poi, davvero basta con questa storia che solo quelli che stanno bene possono essere aperti al prossimo: è una cazzata, se mi passate il registro aulico. Nove volte su dieci, quelli che mi danno del buonista agiato stanno (ripeto, dal punto di vista economico, ma solo quello mi è dato modo e voglia di valutare) come me, se non meglio.

E infine, per citare Lolli, dopo De Gregori e Guccini, i borghesi erano altri, e con ben diverse predisposizioni morali e di giudizio: «Vecchia piccola borghesia per piccina che tu sia/ Non so dire se fai più rabbia, pena, schifo o malinconia./ Sei contenta se un ladro muore o se si arresta una puttana/ […]. Godi quando gli anormali son trattati da criminali,/ chiuderesti in un manicomio tutti gli zingari e gli intellettuali./ Ami ordine e disciplina, adori la tua Polizia/ tranne quando deve indagare su di un bilancio fallimentare./ […] Non sopporti chi fa l’amore più di una volta alla settimana,/ chi lo fa per più di due ore o chi lo fa in maniera strana».  

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