Il resto è conseguenza

Nei giorni scorsi, mi è stato fatto notare da un amico che ero più cinico nel commentare le manchevolezze e le sbavature dei vari Carbone e Moretti che non le performance, a suo dire «esilaranti», di alcuni campioni del grillismo di governo, dai Sibilia alle Lezzi, per capirci. Non ci avevo mai fatto caso, ma devo ammettere che è vero; con i dem ero molto più intransigente, rispetto ai limiti e alle incapacità, nonché agli errori e alle chiare inadeguatezze.

Ed ero meno disposto alla leggerezza, coi predecessori di chi è oggi al governo (per quanto, con gli attuali, sia più preoccupato degli aspetti pesanti delle loro azioni, dal sequestro di navi con migranti a bordo ai decreti securitari approvati senza batter ciglio, passando per il prelievo sulle rimesse dei lavoratori stranieri e giù, giù, nell’inferno del loro livore verso gli ultimi), principalmente per una ragione: da loro, insieme e nel complesso considerati, volevo di più. Da questi, al contrario, niente mi sarei mai aspettato di diverso da quello che fanno. Inoltre, se alcune uscite di quelli di prima potevano smuovere il riso, quelle degli attuali al massimo suscitano imbarazzo, quando non direttamente pena. Che dire delle pièces della Castelli? Nulla, appunto. Infine, quando criticavo l’approssimazione di prima, l’inseguimento degli altri sui temi della demagogia (dal «meno poltrone con un “sì”», ai senatori che perdevano tempo «per non perdere la poltrona», fino a «l’importante è che si voti prima che scattino i vitalizi») o l’insensato amore per il rinnovamento in sé, tradotto in uno stucchevole quanto fatuo giovanilismo, era proprio perché temevo la deriva in forza della quale ci siamo arenati. Però io avevo e ho torto, come dicevano e dicono i numeri.

Quindi, su cosa posso far giocare l’ironia oggi? C’è davvero materia per questa? Purtroppo, non credo. E anche per un altro motivo. Giorni fa,mi sono imbattuto in un articolo di Valentina Romei per il Finacial Times, sui problemi ormai storici della stagnazione italiana. Accanto a dati e analisi prettamente economiche, su saggi di produttività e crescita industriale,due grafici ripresi in quel pezzo mi hanno particolarmente colpito. Il primo riguardava il numero dei laureati nel nostro Paese messo in relazione con le altre nazioni Ocse: da quasi il 70 % dei ragazzi fra i 25-34 anni coreani o il 60 dei canadesi e giapponesi sul totale dei loro coetanei, si scende a poco più del 20 qui da noi. Il secondo, invece, riguardava i risultati scolastici dei quindicenni, misurati nelle loro capacità di lettura e sulle conoscenze matematiche e scientifiche: pure lì, si andava da percentuali superiori del 30/40% rispetto alla media Ocse per gli studenti di Giappone, Canada, Finlandia e Corea del Suda quasi il meno 10 nostrano o il meno 5 statunitense.

Il resto, tutto il resto, credo sia solo una conseguenza.

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