Ma noi, per quel desiderio di appartenenza, che cosa abbiamo fatto?

«Immagina il ragazzino appassionato di fumetti giapponesi che cresce in un piccolo centro italiano, che so, Ovada, Soverato o Lucignano. Al bar tutti parlano di calcio e lo considerano un eccentrico sfigato che sta per conto suo. Fino a qualche anno fa. Perché ora quel ragazzino ha una serie di collegamenti e amicizie con appassionati di manga in tutto il mondo, che gli altri al bar se li sognano. In Rete è perfino un’autorità conosciuta e apprezzata. Il suo scenario mentale è cambiato, anche se magari al bar gli appassionati di calcio continuano a considerarlo uno sfigato […]. Se c’è un desiderio che Internet fa esplodere, è il desiderio di relazione, di socializzazione, di appartenenza. Anche in forme apertamente minoritarie, di liberazione dalle egemonie culturali».

Marino Sinibaldi rispondeva così (in Un millimetro in là. Intervista sulla cultura, Laterza, 2014, pp. 67-68) a Giorgio Zanchini, che gli chiedeva un parere sulle possibilità della Rete. Parole che mi colpirono molto quando le lessi cinque anni fa, e che oggi, rileggendole, trovo ancora più sensate, pure alla luce delle attuali modificazioni che la società e la politica che la rappresenta stanno definendo e rendendo palesi. Con la voce di Radio3, anch’io mi chiedo quanto sia desiderio di appartenenza quello che filtra attraverso le maglie dei social e dei blog. E come, in definitiva, è a questo che hanno risposto i nuovi attori e soggetti del discorso pubblico e del racconto politico, adesso persino istituzionale.

Ma se quello era bisogno, un desiderio di appartenenza, noi cosa abbiamo fatto? Lo dico assumendomi in quota parte e del tutto le mie colpe, o almeno responsabilità. Quando abbiamo ascoltato, in metafora, quell’appassionato di manga? In quale circostanza ci siamo tesi nel cercare di capire cosa volessero i tanti che al mondo dei partiti in cui confidavamo da tempo non credevano più? Mai, se non con atteggiamenti tra il paternalistico e lo spocchioso, stile gramellinata inacidita con una spruzzata di fabiofazismo in salsa micheleserraiana. Abbiamo ignorato e tradito quelle istanze e quelle richieste di essere parte di qualcosa di più grande e vitale della semplice platea pensierosamente plaudente alla cooptazione a livello istituzionale dei figli prediletti del partito.

E i portatori di queste, senza che ce ne avvedessimo, ci han reso la cortesia.

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