«Se non votate il Pd», ti spiegano, «e se non vi alleate con il Pd», aggiungono, «favorite la destra», vaticinano. «Anzi», specificano, «le destre». «Perché il Pd e i suoi alleati», motivano, «sono l’unico argine al populismo e ai governi delle forze di destra in questo Paese». E sono così convinti in quello che dicono che nemmeno si accorgono che, con le loro continue scelte, nei fatti, la destra l’hanno già fatta vincere, nell’egemonia prim’ancora che alle elezioni.
Prendiamo, per esempio, le prossime regionali in Lombardia. Lì, il Pd candida Giorgio Gori, sindaco di Bergamo e sostenitore del referendum sull’autonomia voluto dalla Lega. Bene, sempre Gori, pochi giorni fa, ha spiegato che «nei 18 anni in cui ha governato la Lombardia, Formigoni ha espresso un’idea forte della politica: lo Stato non deve soffocare la società ma deve favorire il suo fiorire». Ovvio, premette che «nell’ultima fase della sua gestione ha fatto delle cose abbastanza criticabili» (che sarà sinonimo di illegali, credo), ma la sostanza rimane: l’idea di politica espressa da Formigoni, a Giorgio Gori, piace. Ecco; io ne avevo e ne ho un’altra.
Ed è per quella che, nei diciotto anni in cui ha governato la Lombardia, regione il cui governo non può essere considerato un fatto meramente locale, l’ho sempre criticato. Se no per cosa, per le camicie improbabili? E quello che vale per la Lombardia di Formigoni vale per la Sicilia degli amici di Alfano, vale per la Liguria con i sostegni arditi alla Paita, e vale tutte le volte che la vittoria diventa valore a cui sacrificare ogni rimasuglio di alternativa politica e visioni differenti.
Quando non ci si arrende del tutto all’ideologia della destra ritenuta, per natura, «vincente».
Circa la tendenza ad assimilare o a distinguere gruppi sulla base di un numero arbitrario di elementi, il ragionamento dicotomico risulterebbe ragionevole ove si determinasse quantitativamente la misura in cui tale arbitrio risulti maggiore o minore delle proverbiali “mezza verità”…
Sebbene il pluralismo sia un fattore cruciale nelle democrazie spesso viene attivamente censurato nei fatti e nei ragionamenti:
Giacché la riduzione del pluralismo partitico non può che avere come risultato la convergenza degli indirizzi politici non è “ragionevole” giustificare la riduzione del pluralismo (tramite astensione) sulla base degli indirizzi politici che dalla riduzione del pluralismo conseguono.
Allo stesso modo non il pluralismo tra gruppi alleati in una coalizione ha delle influenze sull’indirizzo politico della stessa (in proporzione alla consistenza del gruppo) che si tratti di norme sullo “ius culturae” o sul “jobs act”.
Tra le suggestioni imperanti la propaganda egemone al “voto utile” (in sistemi filomaggioritari ha la conseguenza di ostacolare il voto verso alternative e conseguentemente anche lo spazio mediatico loro riservato sul mainstream (per crescere le alternative devono _poter_ essere conosciute ma se non sono già conosciute non avranno spazio mediatico per crescere).
A titolo di esempio in Lombardia la coalizione di Formigoni conseguì 2.704.364 voti quando l’astensione si attestò a circa 2.720.000 (Lombardia 28/03/2010: elettori 7.694.756; astensione 35,36%)
Magari anche allora c’era chi teorizzando l’uguaglianza tra la coalizione di Formigoni e le altre vaticinava che la maggioranza relativa dell’astensione non avrebbe potuto cambiare nulla se avesse votato.
Resta da chiarire perché gruppi di destra e sinistra rappresentati come “uguali” debbano competere divisi sotto il naso di “scontenti” lasciando così ad essi la potenzialità di potere determinare una maggioranza relativa che non li avrebbe spinti all’astensione (fosse esistita prima).
Forse confidano che nessuno risolva il proverbiale dilemma se sia nato primo l’uovo o la gallina?
https://it.wikipedia.org/wiki/Diallele
PS: Giacché la politica la fanno le persone le suggestioni nelle quali queste possono scivolare ne condizionano l’efficacia.
errata:
Allo stesso modo il pluralismo tra gruppi alleati in una coalizione ha delle influenze sull’indirizzo politico della stessa (in proporzione alla consistenza reciproca dei gruppi alleati) che si tratti di norme sullo “ius culturae” o sul “jobs act”.