Ci sono notizie che sono enormi. Quelle che, per loro stessa natura, si fatica a contenere in un giornale o in un tg, che strabordano, che fuoriescono nella vita reale delle persone, che costringono a parlare di esse nei bar, per strada, in casa. Perché, insomma, ci sono cose che non possono essere archiviate fra le “varie ed eventuali”, nemmeno si trattasse di un bollettino della società autostradale relativo a posti dove non passeremo. In un Paese normale, ovviamente.
Qui, invece, sembriamo assuefatti all’enormità. Annosi pantagruelici problemi ci hanno probabilmente indotti a scrollarci le spalle persino in presenza di fatti gravi, inconcepibili, dirompenti. Leggo tre righe dall’edizione on line de La Repubblica: «Silvio Berlusconi e Marcello Dell’Utri sono nuovamente indagati nell’inchiesta sui mandanti occulti delle stragi mafiose del 1993, che colpirono Firenze, Roma e Milano». Al punto, dovremmo sentire venir giù le mura dei palazzi delle istituzioni. L’uomo che ha determinato la vita politica nazionale nell’ultimo quarto di secolo è indagato nell’ambito di un’indagine sui mandanti di stragi mafiose, le stesse che sconvolsero lo Stato e le sue organizzazioni alla vigilia dell’avvio di quella stagione politica di cui lui stesso fu il protagonista principale. Eppure, non accade nulla; accogliamo questa preoccupante e potenzialmente esplosiva situazione come se non ci riguardasse. Anzi, e peggio, come se fosse normale.
Non so. Forse la retorica sullo scontro fra istituzioni ha fatto breccia nelle menti di tutti, e ci sembra questa solo una puntata, l’ennesima, di un romanzo d’appendice bruttino e monotono. E non sarebbe meno grave, se così fosse. O forse, tutto sommato, davvero non siamo stravolti dalla notizia perché, in fondo, un po’ ce lo aspettavamo, quasi l’avessimo sempre saputo.
Ed è uno scenario ancor peggiore.