Autodistruzione e terrorismo

«Se quel ragazzo terrorista ha potuto colpire suoi coetanei o quasi è perché conosce quella cantante e conosce il suo pubblico. Conosce la cultura giovanile occidentale, uccide questa cultura e uccide se stesso allo stesso tempo. Purtroppo anche questo attentatore corrisponde bene al paradigma del jihadista nichilista. Non c’è un progetto se non la morte». Così Olivier Roy, docente all’Istituto Universitario Europeo e autore del saggio fra poco in libreria nella sua traduzione italiana per Feltrinelli Generazione Isis. Chi sono i giovani che scelgono il Califfato e perché combattono l’Occidente, parla di Salman Abedi, l’attentatore di Manchester. E temo che, se non del tutto giusto, quasi niente è sbagliato nel suo ragionamento.

Le parole di Olivier Roy nell’intervista al Corriere della Sera di giovedì me ne hanno riportate alla mente altre, di Sergio Zavoli nel suo La notte della Repubblica. A proposito della formazione Prima Linea, scrive: «È seconda alle Brigate rosse solo per il numero di persone che colpirà. Ha un inizio spontaneista, sostenuto da un culto esasperato e nichilista dell’azione, senza un progetto politico che non sia, intanto, l’attacco allo Stato. Una vicenda difficile da comprendere e da spiegare, persino da parte di coloro che l’hanno vissuta». Sto paragonando quella stagione a questa che stiamo vivendo? Vi prego di ritenermi meno approssimativo di come pure posso apparire. No, sto cercando di provare a capire. E mi chiedo perché mai questa voglia di autodistruzione e annientamento dell’altro, sia tanto radicata nelle menti di giovani ragazzi cresciuti nel mondo della promessa del benessere ben prima e oltre la radicalizzazione di matrice islamista. Perché la ritroviamo nel rinascere dei sentimenti nazisti o nei giochi al suicidio diffusi via internet, e mi spaventa, se possibile, ancora di più delle possibili ramificazioni di una qualsiasi Spectre terroristica.

Perché se non sapremo cogliere il motivo di fondo, ultimo e primo potremmo dire, di questa pulsione all’autoannientamento che si fa, in ciò sì terroristica, spaventosa nel suo manifestarsi nella cronaca e per le strade, ondeggeremo fra gli estremi della violenza applicata nel mondo quale risposta reattiva a gesti disperati e il ritiro da questo stesso mondo, la rinuncia a esserci per paura di dover essere per altri ciò che non si vuole per sé. Ritiro e rinuncia che, per i paradossi dei fini e delle ragioni, è il medesimo che muove chi sceglie la via della distruzione, solamente sua o anche di chi gli sta intorno.

Questa voce è stata pubblicata in filosofia - articoli, libertà di espressione, società e contrassegnata con , , . Contrassegna il permalink.

Lascia un commento