Visto che volete il merito, giudichiamo i risultati

Ormai l’ho detto così tante volte che stufa anche me il pensare di ripeterlo ancora: ritengo la meritocrazia una favola buona per far prendere sonno alla sera sulle disuguaglianze che il sistema produce, raccontata sia a quelli che ne beneficiano, così possono sedare le proprie coscienze, sia a quelli che le subiscono, che s’illudono di poter invertire il corso delle loro vite non ribellandosi alle regole, ma cercando esclusivamente nel compito loro assegnato d’essere migliori.

Però, siccome chi guida mondo e nazioni dice di crederci, bene, voglio stare al metro che suggeriscono di usare. E quindi, giudicare loro stessi sui criteri che propongono, partendo dai risultati. Che dire, dunque, delle competenze delle classi dirigenti globali se è a Trump e alla Le Pen che hanno portato? Che dire delle loro capacità, se è verso il disordine non organizzato che ci stanno indirizzando? Che dire, volendo provincializzare il ragionamento, delle qualità della nostrana élite a giudicare dall’impasse nella quale ci hanno ridotto? Se è il “merito” che volete sia valutato, allora sarebbe meglio, credendoci voi per primi almeno la metà di quanto vorreste facessero altri, che disertaste gli esami: guardando gli esiti, non si può non nutrir sfiducia nelle (esitanti?) guide.

Però, dicevamo, io non credo nella meritocrazia. E come me, debbo ritenere in ragione dei fatti che vedo accadere, tanti altri, soprattutto fra quelli che ne parlano quasi fosse la soluzione a ogni problema. Se loro infatti ci credessero, e considerando che sono gli stessi che conducono il gioco dettandone le regole, avrebbero già da tempo fatto decisi e decisivi passi indietro.

Se qui siamo, au contraire, è perché essi non credono in quel che dicono.

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