«Non arrivarci per contrarietà»

Nella direzione nazionale del Pd di ieri, una significativa parte della minoranza interna ha ufficializzato l’ennesimo pentimatum minacciando, ancora, il voto contrario al referendum sulla riforma costituzionale del prossimo 4 dicembre se l’Italicum, sai che novità, non dovesse cambiare. Per quanto non creda alle loro parole, sapendo che la legge elettorale, prima del voto sulle riforme (lo ha detto lo stesso presidente del Consiglio) non cambierà e fingendo, però, che ci sia del vero dico «bene»: ogni segno sul “no” a quella riscrittura della Carta, da qualunque parte arrivi, è benvenuto, e se proviene da chi sembrava far parte, per scelta “di ditta”, del fronte del “sì”, lo è di più, dato che per me, in questo momento, l’importante è fermare quella dissennatezza.

Ha ragione Bersani quando spiega i suoi motivi del suo dissenso, e anche quando si lamenta d’essere stato «trattato come un rottame» nel suo stesso partito. E ha ragione Cuperlo quando ricorda, in un’intervista a La Stampa, la circostanza storica che vuole «i numeri generosi che oggi in Parlamento sostengono il governo» risultato del lavoro della passata gestione dem (cosa che, come Renzi, dimenticano spesso renziani avventati della prima ora e renzisti convertitisi sulla via del potere), ed è serio quando dice che, se dovesse votare “no” da cittadino a una riforma a cui ha dato il “sì” da parlamentare, presenterebbe le proprie dimissioni dalla Camera (per quanto non chiarisca se in conseguenza di quella contraddizione o per sottrarsi all’altra, di dover, cioè, far poi da parlamentare in aula quanto fatto da cittadino nell’urna, respingendo i provvedimenti del governo del suo partito) . E hanno ragione i vari Speranza, Gotor, Fornaro, eccetera, eccetera, eccetera. Però, ha ragione pure Renzi, quando rammenta a tutti loro come, prima che il gallo dell’onore ferito cantasse, per tre volte abbiano votato quella riforma ora tanto contestata. Ecco perché, alla fine, lui può permettersi di prenderli in giro con la proposta di un gruppo di lavoro sul sistema elettorale, ché in politica, lui sa, quando non si vuol risolvere un problema, si istituisce una commissione.

«Bisogna saper scegliere in tempo, non arrivarci per contrarietà», cantava Guccini nell’indimenticabile Eskimo. Ed è così, in politica come in tutti gli altri casi della vita. La maggioranza al governo di cui adesso criticano scelte, modi e orizzonti, l’hanno condivisa fin dal primo momento, quando, nel breve volgere d’uno #staisereno, fecero fuori Letta che avevano sostenuto, e su assi non dissimili da quelli odierni, prendendo a pallonate ogni forma di eccezione alla linea. Un esecutivo che, con il loro sostegno spesso determinante, a volte assente dall’aula, ma mai contrario, ha realizzato molte delle cose contro cui un tempo lottavamo, dall’abolizione dell’articolo 18 a quella della tassa sulla prima casa per tutti, ricchi compresi, dalla gestione securitaria dei problemi abitativi figli della povertà alla chiamata diretta dei presidi, dall’innalzamento del limite nell’uso dei contanti fino alla riscrittura della Costituzione «a colpi di maggioranza» e a una nuova legge elettorale votata con la fiducia.

Adesso si profila addirittura una scissione, e pure i loro stessi ambienti, sempre pronti a scattare contro ogni ipotetico accenno di simili ipotesi, la danno per possibile, se non probabile. Anche qui, bene: ogni opposizione a un governo che fa le cose che si dicevano poc’anzi è positiva. Io però, come l’improbabile rapper Guccini-Crozza agli albori del renzianesimo governativo, quando tutti nel Pd credevano che ogni cosa fosse magnifica, purché facesse (e perché faceva) vincere, «vado di là».

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1 risposta a «Non arrivarci per contrarietà»

  1. Fabrizio scrive:

    Caro Rocco,
    ho seguito, per un po’ , il dibattito della minoranza interna e sono giunto a questa conclusione:
    Dal Patto del Nazareno ad oggi niente e nulla cambiera’ ; nell’Italia che cambia verso la minoranza del fu-pd/ fu centro-sinistra e’ realmente e concretamente “LA PLURALITA’ NON CONTRARIA”(Il Testo di Aristotele-Libro 10- Lezione 8 – Paragrafo 877)

    Ciao, Fabrizio

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