Io sto con i frontalieri

«Come al solito, sono sempre contro di noi», dice una ragazza in coda alla frontiera con la Svizzera all’inviata del Tg1 che le ricorda come gli elvetici accusino gli italiani di rubargli il lavoro. «Rubargli il lavoro?», replica, «vorrei però vedere se loro venissero a lavorare nelle aziende come operai». Due ragazzi, elettricisti oltreconfine, spiegano: «non vengono mai in cantiere gli svizzeri. Non vengono mai in cantiere, ci son solo italiani. Lavori troppo faticosi non li fanno, loro». Mentre un piccolo imprenditore svizzero spiega: «non ce l’ho con i frontalieri, ne ho anche due a lavorare. Però se c’è da tutelare i nostri, che ben venga». E alla giornalista che gli obbietta «però lei li usa i frontalieri», lui chiosa: «li uso sì, li ho sempre usati».

Già, la Svizzera li ha sempre usati, i frontalieri e i migranti, ha ragione il piccolo imprenditore ticinese. Solo che le parole della demagogia sono altre, e seguono logiche non sempre lineari. Il 58% dei ticinesi ha detto «prima i nostri», con lo slogan del referendum che chiede la preferenza nelle assunzioni a chi vive sul territorio. Prima i loro rispetto ai 60mila italiani, principalmente del varesotto, 25mila, e del comasco, 22mila, che quotidianamente varcano la barriera di Chiasso o di Gaggiolo per lavorare. E io sto con i frontalieri, come sempre sto con tutti quelli che, per vivere, per sopravvivere o anche solo per stare un po’ meglio di come stanno, devono superare quei segni sul terreno che gli uomini si ostinano a voler tracciare.

Sto con chi viene respinto e guardato male solo perché è nato in un posto diverso da quello in cui deve tirare avanti e non sto mai dalla parte di quelli che urlano un insensato «prima i nostri». Ancora più insensato, se possibile, in un posto come il Ticino, dove la disoccupazione è al 3,1%, i cittadini sono così ricchi da aver potuto fissare la sogli di povertà a 2.200 franchi al mese, circa 2.000 euro, e gli inoccupati totali non superano le 11mila unità, segno evidente e matematico che, pure se tutti loro avessero un impiego, di lavoratori dall’estero ci sarebbe ancora bisogno.

Io, quelli che dicono «prima i nostri, poi i loro» non li capisco e non ne condivido le parole, le idee e le opinioni. Per mille ragioni e perché, prima o poi, i “nostri” e i “loro” potrebbero avere parti e patrie invertite. Perché Νέμεσις è sempre pronta a ricordare che quel che eccede la giusta misura è indebitamente preso, e che nascere o vivere al di qua o al di là di un limes tracciato su una carta è solo un caso che non dà meriti, né assegna colpe.

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1 risposta a Io sto con i frontalieri

  1. Fabrizio scrive:

    Stare non solo con i lavoratori frontalieri , ma anche con i lavoratori inter-isolani , ma anche con i lavoratori inter-marittimi,ma anche con i lavoratori interoperabili , ma anche con i lavoratori interdipendenti multidimensionali.
    “Diritto dell’interoperabilita’ capitale umano”

    Il ponte sullo stretto non rispetta il dovere dell’interoperabilita’”fattoriale” alla circolazione atmosferica e non rispetta il diritto dell’interoperabilita’ “fattoriale” dell’opportunita’ capitale umano equamente redistribuita.

    Perche’ non dare pari opportunita’ come ad esempio, un tunnel ferroviario marittimo tra sardegna e corsica,un tunnel ferroviario marittimo tra piombino e l’elba ?

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