Chi rappresentano i rappresentanti?

Per quanto sia stucchevole doverlo ripetere ancora una volta, lo faccio ancora una volta: col loro voto, gli inglesi hanno detto che la mia visione del mondo è sbagliata, che l’unità dell’Europa è il problema, non la strada per cercare le soluzioni e che non serve più integrazione fra gli Stati, ma meno. Quindi, il popolo d’Albione mi ha dato torto. Una premessa inutile, lo so, eppure resasi necessaria perché in alcune discussioni m’è stato rinfacciato di “sposare il volere della gente ora che ti dà ragione”. Non è vero, perché non ne sposo il volere e perché non mi dà ragione.

Rimangono i fatti per quelli che sono, e da sempre mi viene spiegato che “in democrazia, si discute, ci si confronta, poi si vota e si decide”. Quello si è fatto in Gran Bretagna, e che il risultato a me e voi piaccia o meno, la Storia la fanno i più: non è questo che mi avete insegnato ogni volta che, come adesso se fossi stato inglese, mi sono trovato fra i meno? Giudicare il valore di chi si è espresso è un vano esercizio elitario: sono gli stessi che si esprimono tutte le volte, se in questo caso il loro giudizio è viziato da una insufficiente competenza, allora lo è in ogni circostanza. Ma il voto sulla Brexit apre anche un altro problema. Nel parlamento inglese, più o meno i due terzi dei deputati erano a favore della permanenza nell’Ue. Nel Paese, non dico il contrario ma quasi. Dov’è finito, dunque, il rapporto di rappresentanza fra la volontà popolare e la sua proiezione democratica nelle istituzioni? Sacrificato sull’altare di una malintesa idea di “governabilità”.

Ricordo che fui descritto come un marziano quando, nel maggio dello scorso anno, mi permisi di notare che le elezioni generali del Regno Unito consegnavano una rappresentazione del Paese reale che non era affatto rispondente alle proporzioni vere dell’orientamento dei cittadini. I conservatori di Cameron presero il 51% dei seggi col 37% dei voti, i laburisti il 35 col 30, il partito nazionale scozzese quasi il 9 col 4 e l’Ukip di Farage solo un seggio, lo 0,15%, contro il 13 per cento dei consensi effettivamente ottenuti. Per di più, in una situazione in cui alle urne era andato appena un terzo degli aventi diritto.

A quelli come me che parlavano di “problema della rappresentanza”, i “governamentalisti” (perché Foucault c’entra) risposero con un’alzata di spalle. Il problema, però, è che quei rapporti reali non erano spariti, né potevano essere superati ignorandoli. E mentre la rappresentazione, per non dire l’autorappresentazione, di una certa parte della nazione pensava che nelle sedi dei legislatori e dei governanti vi fosse la sovranità popolare espressa con la delega del voto, “la gente” pensava tutt’altro, e alla prima occasione utile se l’è ripresa e l’ha esercitata. Ricordo le parole del De Sanctis pronunciate in un discorso riportato da Secchia in un suo intervento al Senato del 17 dicembre 1968: «La maggioranza legale è essa che deve governare, ma perché un Governo sia accettato dalla coscienza pubblica si richiede che la maggioranza legale sia insieme maggioranza reale nel Paese, altrimenti del sistema parlamentare c’è soltanto l’apparenza».

Quando così non è, quando quelle due maggioranze non corrispondono, il trucco dei sistemi maggioritari non regge quasi mai alla prova diretta, che ormai diventa centrale nel sistema che si è voluto realizzare, immaginando che la società non esistesse e al suo posto ci fossero solo individui, per rimanere in terra inglese, facendo saltare i corpi organizzati al grido di “disintermediazione!”, riducendo i partiti a mere macchine per la costruzione del consenso, non per la composizione delle istanze e la loro proiezione all’interno delle istituzioni.

In tutto questo, poi, le parole di sprezzo e superiorità che si leggono e si sentono nei confronti del popolo chiamato a votare quando sceglie quel che non ci piace, fanno rabbrividire. I cittadini britannici che hanno votato per uscire dell’Unione europea sono accusati di essere “vecchi”, “razzisti” e “ignoranti”. Supponiamo che sia vero, quale soluzione proponete? Togliere il diritto di voto a una certa età, subordinarlo all’apertura mentale o concederlo solo dopo un attento esame delle competenze e delle capacità, della cultura e delle opinioni? E perché non del censo?

Se ci pensate, pure quella è stata una discriminante nei risultati.

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1 risposta a Chi rappresentano i rappresentanti?

  1. Fabrizio scrive:

    Qualcuno ha detto che Brexit pesa come un macigno sulla storia UE.
    Io credo che da quando c’e’ il Renzi , tra paludi e macigni, tra terremoti e alluvioni, un’europa cosi’ non si era mai vista.Sara’ una causalita’ o piu’ causalita’
    ma l’effetto della cosa che cambia verso , tra cantiere e direttorio , tra rottamatore e manipolatore, puo’ , haime’ per noi e non solo,trasformarsi in un triangolo delle bermuda ,sempre metaforicamente parlando.

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