«Secondo lei, i giovani di oggi avranno nel prossimo futuro una posizione sociale ed economica migliore, più o meno uguale o peggiore rispetto a quella dei loro genitori?». Per due intervistati su tre, peggiore. Più o meno quanti pensano che oggi sia «inutile fare progetti impegnativi per sé o per la propria famiglia, perché il futuro è incerto e carico di rischi». Il 73 per cento, invece, pensa che per i giovani «che vogliono fare carriera l’unica speranza è andare all’estero», e il 72, immagino proprio gli stessi, non credono per nulla che l’occupazione in Italia sia ripartita.
I dati del sondaggio condotto dall’Osservatorio capitale sociale di Demos in collaborazione con Coop, l’associazione nazionale delle cooperative di consumatori, non sono il Vangelo, ovvio, ma è indicativo che siano totalmente in controtendenza rispetto alla narrazione dei padroni del vapore. Insomma, è come se ci fosse una resistenza culturale e psicologica al racconto che viene fatto della realtà, soprattutto di quello predicato da chi, dall’ottimismo, ha tutto da guadagnarci. Conviene ai governanti che il popolo creda che tutto andrà bene, e quindi si fidi di quelli che hanno determinato questa condizione? Sì. Ecco perché il secondo dubita; non per far dispetto ai primi, ma per non trovarsi male lui.
Siamo seri. Io oggi sarò a Torino con i dipendenti del settore pubblico per lo sciopero regionale indetto dai sindacati di categoria. Si tratta di lavoratori con il contratto bloccato dal 2010 e che non vedono spiragli per un rinnovo almeno, si teme, fino alla fine del decennio. Ma si tratta anche di impiegati, grosso modo, più tutelati di altre categorie. Se pure loro han paura per il futuro, immaginate cosa possano provare quelli “a partita Iva”, i precari dei call center, coloro che sono pagati con i voucher Inps e tutte le forme di lavoro precario e non sicuro che solo, appunto, nello storytelling del governo sono sparite.
Checché ne pensi chi decide, ché «sempre allegri bisogna stare/ che il nostro piangere fa male al re/ fa male al ricco e al cardinale/ diventan tristi se noi piangiam», noi, del futuro che chi comanda sta disegnando, abbiamo un po’ timore. Ci dicono che si è vissuto al di sopra delle nostre possibilità finora, mentre già dovevamo fare i conti con contabilità che non tornavano, ci spiegano che non smetteremo di lavorare finché non saremo troppo vecchi per farlo, e sempre che ce ne diano la possibilità, e che alla fine avremo pensioni così basse che i salari di oggi parranno straordinariamente ricchi; potremmo mai tranquillamente credere al racconto della “ripartenza” verso cieli azzurri e soli splendenti?
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