Ma che problemi hanno?

Non capisco davvero quali problemi abbia una certa sinistra con la cultura e le credenze popolari. Con la superstizione, certo, ma anche con la religiosità istintiva, emozionale, non canonica ma tradizionale; sembra quasi che dia loro fastidio tutto quello che viene dal basso, ancor più quando è spontaneo e gratuito.

L’altro giorno, ho letto l’articolo della vice-direttrice di Left Ilaria Bonaccorsi sulla traslazione temporanea delle spoglie di padre Pio a Roma: un trionfo di sprezzanti giudizi, travestiti da analisi dei fatti, non tanto tesi a valutare il caso del fenomeno religioso, di cui pur fingevano di parlare, quanto a condannare la folla che si mette in fila con devozione. Addirittura, per spiegare a quei credenti come stessero credendo il credo sbagliato, la laicissima giornalista non ha trovato di meglio che demolire la figura del frate di Pietrelcina con le parole mediche di Agostino Gemelli. E da quando una fede dev’essere scientificamente dimostrabile?

Sarà perché non sento mia la cattolica confessionalità della rituale ortodossia della Chiesa o perché in quel misto di magismo e cristianità ci sono nato, ma non mi disturba affatto la mescolanza di monoteismo giudaico orientale e paganesimo politeista e animista che ha reso la religione del Nazareno risorto quello che è in larga parte del Mezzogiorno d’Italia e dei ceti meno colti, se li si guarda col senno dei libri dei ricchi.

Capisco la reazione del clero a quelle professioni autonome e anarchiche, e nel contesto originale han senso le parole di padre Gemelli. Ma alla laica sinistra che si dice rispettosa del pensiero e delle opinioni altrui, che fastidio dà quella considerazione totemica delle membra mortali del santo? Cosa cambia nel loro modo agnostico di guardare il mondo se altri confidino con egual convinzione alla transustanziazione nell’ostia e al potere salvifico delle reliquie? Come rende peggiore questo mondo il fatto che alcuni credano in un soprannaturale diverso da un altro?

Dovremmo allora mettere alla berlina, e con la stessa boria supponente, ogni professione ultraterrena. Eppure, questo non accade. Perché? Perché il Cristianesimo tutto, l’Ebraismo, il Buddhismo, il Confucianesimo intero e l’Islam in ogni sua declinazione non finiscono ridicolizzati allo stesso modo dalle medesime penne? Come mai ciò accade solo per le credenze popolari?

Un dubbio ce l’ho: perché quelli che ne scrivono sono benestanti borghesi. Perché in mano a loro sono i giornali. Perché sono essi a decidere cosa è fede e cosa è superstizione, quel che è cultura e ciò che è pregiudizio.

Insomma, di quella folla in fila per baciare una bara, dava fastidio l’essere popolo. Per la religione dei signori eleganti, i laici possono fare un’eccezione di tolleranza; per i culti e i riti dei cafoni in piedi, non sono ammesse deroghe.

E poi, contessa, tutte quelle mani sudate!

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4 risposte a Ma che problemi hanno?

  1. Enrica scrive:

    E’ la prima volta /e leggo questo blog tutti i giorni/ che mi trovo in disaccordo.
    Sono una pensionata a 1.1oo euro al mese. Lontanissimi da me i benestanti borghesi.
    Ma quando leggo “Corale · Gruppo di P. Pio … Un’ora di preghiera per fermare la legge Cirinnà. … Ora, Maria, ti preghiamo perché la legge sulle cosiddette “unioni civili” non passi.” francamente mi sento di dare ragione alla Bonaccorsi.

  2. Enrico scrive:

    Doveva accadere, naturalmente, che prima o poi non fossi d’accordo con lei: oggi non lo sono per niente.
    Premetto che sono un ateo che ritiene che o le religioni, generalmente intese, affrontano seriamente Darwin e Mendel o sono schizofrenia: il giorno si applicano, alla vita concreta, le leggi della scienza; la sera si pregano cosmogonie che narrano l’esatto contrario.
    Detto ciò, mi è impossibile non vedere la differenza tra una religiosità alta, immateriale, rivolta allo Spirito, e quella che io definisco, forse sprezzantemente, una caricatura della religione.
    Peraltro, materialista ed utilitaristica. Non si prega lo Spirito per il Bene. Si venera un dente, un osso, una cartilagine, qualche grumo di sangue, un pezzo di tela di dubbia origine, per risolvere problemi pratici ed immediati. Importantissimi, per carità, nella prospettiva individuale; ma ridicoli, nell’ottica che dovrebbe valere, e cioè quella universale della religione.
    Mi stupisce veramente, poi, come un acuto osservatore come lei non colga che l’immediata secolarizzazione dei San Gennaro e dei San Pio sono le dentiere ai terremotati di Silvio, i mille euro al mese per tre anni di Beppe e gli ottanta euro di Matteo. Se ai miracoli mi abituo, miracoli chiederò.
    Io voglio un mondo dove se uno ha mal di denti lotta per un sistema sanitario universalistico e non prega una maschera di cera, viva o morta che sia.
    Infine, il popolo. Che non è buono. Compito di una forza di sinistra non è adularlo. Il bravo maestro non è quello che ti riverisce, illudendoti, per poi abbandonarti indifeso alle soglie della vita vera; è quello che ti pone costantemente di fronte ai tuoi limiti, spronandoti ed allenandoti a superarli.
    Del resto – e questa è veramente una cosa che non si scrive mai, perché farlo significherebbe criticare il popolo, quindi il pubblico – è da qui che deriva l’handicap elettorale della sinistra: dall’essere contro-intuitiva. E’ più facile dire che puoi tenerti tutti i tuoi soldi, e in generale che puoi farti strada nel mondo da solo, piuttosto che dire che dire che una parte dei tuoi soldi, e in generale dei tuoi sforzi, vanno messi in comune con gli altri, perché questo non solo è giusto, ma alla fine favorirà anche te, che ti troverai a vivere in una società più eguale e, quindi, dinamica. Eppure la sinistra deve sostenere la seconda tesi. Anche se al popolo non piace.

  3. Enrica scrive:

    Scusami ma vorrei aggiungere ancora una considerazione. Il tono sprezzante della Bonaccorsi nei confronti di “quei cattolici” (non certo tutti), non era più sprezzante del tuo nei suoi confronti.
    Se mi permetto di scriverti con questa franchezza (durezza) è perché ho per te grande stima e affetto. Considerata l’età -tua e mia- ti parlo da nonna, come faccio con i miei nipoti.

  4. Rocco Olita scrive:

    Cari Enrica ed Enrico,
    innanzitutto ringrazio entrambi per l’attenzione che mi dedicate. Soprattutto, vi ringrazio per il vostro disaccordo; è dal dissenso che muove il dialogo, altrimenti non è che la ripetizione delle medesime note, noiosa.
    Vedete, il problema, dal mio punto di vista, è razzista. Lo dico sapendo il limite di quella parola, ma non ne so trovare altre. Enrico, la secolarizzazione delle ossa dei santi sono i bonus dei governanti? Può essere: però per molti solo quelli ci sono, le une e gli altri. A volte, quasi sempre, non c’è nemmeno quel dio ultraterreno che con lo spirito regola il mondo.
    Per spiegare quello che intendo, provo a usare parole non mie ma che raccontano il mondo da cui vengo e viene quell’animismo di cui parlo: “Cristo non è mai arrivato qui, né vi è arrivato il tempo, né l’anima individuale, né la speranza, né il legame tra le cause e gli effetti, la ragione e la Storia. Cristo non è arrivato, come non erano arrivati i romani, che presidiavano le grandi strade e non entravano fra i monti e nelle foreste, né i greci, che fiorivano sul mare di Metaponto e di Sibari: nessuno degli arditi uomini di occidente ha portato quaggiù il suo senso del tempo che si muove, né la sua teocrazia statale, né la sua perenne attività che cresce su se stessa. Nessuno ha toccato questa terra se non come un conquistatore o un nemico o un visitatore incomprensivo. Le stagioni scorrono sulla fatica contadina, oggi come tremila anni prima di Cristo: nessun messaggio umano o divino si è rivolto a questa povertà refrattaria. Parliamo un diverso linguaggio: la nostra lingua è qui incomprensibile. I grandi viaggiatori non sono andati di là dai confini del proprio mondo; e hanno percorso i sentieri della propria anima e quelli del bene e del male, della moralità e della redenzione. Cristo è sceso nell’inferno sotterraneo del moralismo ebraico per romperne le porte nel tempo e sigillarle nell’eternità. Ma in questa terra oscura, senza peccato e senza redenzione, dove il male non è morale, ma è un dolore terrestre, che sta per sempre nelle cose, Cristo non è disceso”.
    Padre Pio, invece, c’è e c’è stato. E qui passa la differenza. Nelle parole della Bonaccorsi, quella religiosità diventa folklore ignorante, e allora sì, sono sprezzante con lei come lei lo è con i miei, Enrica. Lo sanno anche quelle donne e quegli uomini in fila che da lì non arrivano soluzioni, e lo sentono pure loro come sia vano quel pregare: ma sarebbe più utile l’altro? Sarebbe più serio rinunciare a quelle dentiere, Enrico, in attesa d’un sol dell’avvenire che sorgerà quando saranno morti di fame per non aver potuto masticare il poco pane duro?
    Ecco perché è razzista quel giudizio: perché è sempre contro la stessa schiatta, cafona e pezzente, ignorante e povera, che si rivolge. E dal suo attico suona la musica del clavicembalo ben temperato che chiama razionale, contrapposta alla tammurriata caotica che arriva dal basso e che vuole superstiziosa.
    “Infine, il popolo. Che non è buono”, scrivi tu, Enrico. E chi lo nega? So, so quanto è sbagliato, so quanto è cattivo. Conosco il sangue acerbo che lo anima, ne vedo i limiti e ne sento il male. Ma è il mio sangue, e da lì tutto il resto.

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