Ma non volevate la “meritocrazia”?

La polemica intorno alla circolare del Ministero per l’istruzione sulla possibile divisione per gruppi di livello differenziato degli alunni a scuola, proprio non la capisco. Eppure, contrariamente al mio stupore, la questione ha generato diverse prese di posizione e controversie, su un fatto che, sono costretto ad ammettere, è tutt’altro che eccezionale, inaudito o sorprendente. Anzi, esso è perfettamente collegato e inserito nelle teorie egemoniche del tempo presente.

Dividere, in buona sostanza, i ragazzi a scuola in classi “di asini” e classi “di bravi” è completamente funzionale alla prosopopea romanzata della “meritocrazia”, quella che tutti volevate. Non dice quell’ideologia dominante che ai migliori devono essere riconosciute possibilità migliori? Bene, allora perché non farlo fin da scuola e prendere spunto da quello che l’inventore del termine, Micheal Young, scrisse nella sua distopia, L’avvento della meritocrazia, appunto. Lì, i ragazzi erano divisi sulla scorta del proprio quoziente intellettivo; e visto che di questo vaneggiamo da anni indicandolo come il punto d’approdo dello sviluppo sociale, perché non farlo qui e ora? Entri a scuola, ti misurano il QI, e se hai un valore di 120 punti vai fra i migliori a fare il meglio, se ti fermi a 90 ti abbracciamo e ti mandiamo a imparare a servire quelli più talentuosi.

Così funzionava nell’opera di Young, non vedo perché non adottare quel metodo nella realtà. Diciamocela tutta: basta con questo buonismo per cui gli esseri umani sono tutti uguali. Certo, dobbiamo dare a chiunque le possibilità, come si dice adesso, ma se uno è più capace mica può fermarsi ad aspettare chi rimane indietro. E poi, insomma, non è giusto nemmeno per i più lenti, dover sopportare quotidianamente la frustrazione di vedere che c’è al mondo chi riesce con facilità dove loro arrancano disperati.

È ovvio che, archiviando una volta per tutte le conquiste degli anni scorsi, diversificando in quel modo le classi, avremo da una parte chi sarà destinato a farsi ceto dirigente e dall’altra, e non potrebbe essere diversamente, coloro che si accontenteranno di diventare classe servente, al massimo funzionaria. Questa è la vita ai tempi della “meritocrazia”, che ci volete fare se avete un quoziente d’intelligenza di 91? Dovreste ritenervi quasi fortunati che vi lascino servire chi ne ha uno da 127. Migliori si nasce, e alcuni lo nascono, tutto qui.

Dimenticavo una cosa. La “meritocrazia” è una costruzione dottrinale come le altre. E come le altre, finché c’è chi è disposto a crederci e fino a quando questi saranno sufficientemente forti o numerosi per imporsi, nessuno oserà metterla in discussione. Anche nell’ipotesi in cui si dovesse scoprire che, a seguito di eventuali misurazioni delle capacità individuali propedeutiche all’assegnazione dei ruoli sociali, stranamente i migliori nascono dai migliori. Dopotutto, saranno pure ereditari i geni del genio!

Già, com’era? «Voi dite di aver bocciato i cretini e gli svogliati. Allora sostenete che Dio fa nascere i cretini e gli svogliati nelle case dei poveri, ma Dio non fa questi dispetti ai poveri. È più facile che i dispettosi siate voi». E chissà poi come andava a finire la storia raccontata da Young.

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