I fatti accaduti a Colonia e in altre città nordeuropee, nella loro follia ingiustificabile e nel portato esecrabile, possono disorientare. Ammetto che dinanzi ai racconti di quelle donne, la mia struttura terrona si immedesima sentimentalmente e chiama a una vendetta che a stento la sovrastruttura culturale riesce a ricondurre a razionalità. Organizzati con anticipo o sfuggiti alle dinamiche dei branchi, sono intollerabili senza possibilità di scampo. Le risposte collettive rischiano però rischiano, se possibile, di complicare ulteriormente il quadro, dando ragione a gli istinti più retrivi delle società maschili, che volgono alla ritorsione per l’onore virile offeso nell’affronto alla propria femmina o disegnano ambiti e spazi di esclusione e separazione dei generi fra loro nell’agire sociale, giocando ancora la battaglia sul corpo delle donne e nelle loro libertà.
Quando le reazioni a questo clima sono di governo e di qualità infima, lo scenario per la tragedia perfetta non è lontano. Il governo di Danimarca, e quindi, se la democrazia rappresentativa ha un senso e spiega una realtà, i danesi, per scongiurare l’arrivo di profughi e richiedenti asilo, vuole sequestrare ai malcapitati ori e averi per, si dice, contribuire a sostenere le spese di accoglienza. E se tutto ciò vi ricorda stagioni tristi della storia d’Europa è perché della stessa matrice e della medesima anima quell’idea è informata. Speriamo lascino a chi fugge da guerre e fame eventuali capsule e denti d’oro e che quei poveri tesori non trovino ospitalità in qualche banca di Svizzera, nazione tanto civile da praticare già da tempo soluzioni non dissimili.
Peggio dei muri ungheresi, perché avviene in una nazione di visioni ben più aperte e con condizioni economiche e sociali sensibilmente differenti, la decisione di Copenaghen quasi non incontra la critica che ci si aspetterebbe nel resto dell’Unione. Anzi, al netto di quanti apertamente apprezzano e dei pochi che in modo altrettanto aperto condannano, si sarebbe portati a credere che “i più”, e quindi, e sempre se la democrazia è reale, “gli europei”, silenziosamente approvino. E mi sento in esilio in un intero continente.
Prevengo un’obiezione: “hai detto che pure tu, in relazione a quegli accadimenti, avresti avuto serie difficoltà a non cedere alla volontà di rivalsa; come puoi allora condannare chi cerca di dare risposte, sebbene dure e invasive sulla vita delle persone?”. Ecco, lo ribadisco: io sono sempre tentato dalla vendetta. E comprendo, sebbene non giustifichi, quelli che hanno la pulsione a farsi giustizia da soli per i torti subiti. Ma ripeto anche che la mia struttura istintiva e sottoposta a una sovrastruttura culturale. Nel singolo, la prima può sopravanzare la seconda; in una società, questo non deve mai avvenire.
Qui non stiamo parlando della risposta “di pancia” delle aggredite e dei loro congiunti, siamo al cospetto del comportamento dello “state of Denmark”, che nel suo agire invera le parole di Marcello a Orazione nell’Amleto. E poi, io di un torto o di una violenza subita da me o da persone a cui sono sentimentalmente legato potrei arrivare a vendicarmi, ma mai su altri che non siano i colpevoli. Perché la vendetta può avere lati di nobiltà, la faida è sempre barbarica e la rappresaglia roba da fosse Ardeatine.