Per l’inclusione è la sinistra

Oggi vi riporto una citazione (un po’ lunga, in verità) di cui discutevamo con un amico l’altro giorno. È tratta da Elementi di scienza politica di Gaetano Mosca, che nel quinto paragrafo del secondo capitolo della prima parte, scriveva: “dappertutto le classi guerriere e dominatrici si sono accaparrata la quasi esclusiva proprietà delle terre, che nei paesi non molto civili sono la fonte principalissima della produzione e della ricchezza. A misura poi che la civiltà va progredendo, il reddito di queste terre va aumentando, ed allora, se altre circostanze vi concordano, può avvenire una trasformazione sociale molto importante: la qualità più caratteristica della classe dominante più che il valore militare viene ad essere la ricchezza, i governanti sono i ricchi piuttosto che i forti. […] Una volta avvenuta la detta trasformazione e certo che, come il potere politico ha prodotto la ricchezza, così la ricchezza produce il potere. In una società già abbastanza matura, nella quale la forza individuale e tenuta a freno da quella collettiva, se i potenti sono ordinariamente i ricchi, dall’altra parte basta essere ricchi per diventare potenti. Ed in verità e inevitabile che, quando e proibita la lotta a mano armata restando permessa quella a colpi di scudi, i posti migliori siano conquistati appunto da coloro che di scudi sono meglio forniti. […] Negli Stati Uniti d’America, ad esempio, tutti i poteri escono direttamente od indirettamente dalle elezioni popolari ed il suffragio è, in quasi tutti gli Stati, universale; e vi è anche di più: la democrazia colà non è solo nelle istituzioni, ma anche in certo modo nei costumi, e vi è una certa ripugnanza nei ricchi a darsi ordinariamente alla vita pubblica ed una certa ripugnanza nei poveri a scegliere i ricchi per le cariche elettive. Ciò non toglie che un ricco vi sia sempre molto più influente di un povero, perché può pagare i politicanti spiantati, che dispongono delle pubbliche amministrazioni; non toglie che le elezioni si facciano al suono dei dollari; che intieri parlamenti locali e numerose frazioni del Congresso non risentano l’influenza delle potenti compagnie ferroviarie e dei grandi baroni della finanza. E vi è perfino chi assicura che, in parecchi Stati dell’Unione, chi abbia molto da spendere possa anche concedersi il lusso di ammazzare un uomo colla quasi sicurezza dell’impunità. […] Prima di lasciare quest’argomento dobbiamo poi rammentare che, in tutti i paesi del mondo, altri mezzi d’influenza sociale, quali sarebbero la notorietà, la grande cultura, le cognizioni speciali, i gradi elevati nelle gerarchie ecclesiastiche, amministrative e militari, si acquistano sempre più facilmente dai ricchi anziché dai poveri. I primi per arrivare devono sempre percorrere una via notevolmente più breve di quella dei secondi, senza contare che il tratto di strada, che ai ricchi viene risparmiato, e spessissimo il più aspro e difficile”.

Perché ricordarlo ora? Perché quello che Mosca scriveva alla fine dell’Ottocento, il Word Economic Forum lo dice adesso: la diseguaglianza esclude i più deboli. Li mette ai margini della società, li tiene fuori dall’accesso alle professioni, li allontana dalla possibilità di decedere concretamente del governo della cosa pubblica. Ed essi ne prendono atto, e si astengono persino dal provare a sentirsi parte di quella collettività. Nel nostro Paese, si legge nel report degli economisti di Davos, ciò è ancora più vero, dato che “a social protection system which is neither particularly generous nor especially efficient adds to the sense of precariousness and exclusion”, un sistema di protezione non particolarmente generoso né efficiente accresce il sentimento di precarietà ed esclusione.

Perciò la democrazia deve essere inclusiva, cercare di tenere dentro coloro che rischiano di scivolare fuori e recuperare in avanti quanti restano in dietro. E in essa, tale è lo specifico lavoro che dovrebbe fare la sinistra, altro che piegarsi a logiche concorrenziali ed elitarie, per cui è importante solo vincere, interessano esclusivamente, il termine non è casuale, i vincenti e, con la storiella dei talenti e la favoletta della meritocrazia, si colpevolizzano coloro che perdono quella che altri han stabilito essere la competizione.

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