Le carte dell’inchiesta su “Mafia capitale” rivelano anche che cooperative e aziende favorite dalla politica, a loro volta favorivano i politici. Non un caso eccezionale: lo si è scoperto in altre centinaia di casi, dalle vicende dei tempi presenti a quelle che determinarono la caduta dei partiti della cosiddetta prima Repubblica.
E allora, cosa aggiungono le notizie dei rapporti romani alle cose che già da tempo si sapevano? Un punto, a mio giudizio, è caratterizzante: che qui abbiamo un sistema che sostiene economicamente due parti politiche che fra loro sarebbero (dovrebbero essere?) concorrenti. Buzzi era, anche “legalmente”, come spesso si peritano di spiegare quelli che ne hanno ricevuto i soldi, un finanziatore della destra e della sinistra. Il fatto che ciò avvenisse in parte pure nel rispetto formale delle regole, complica orribilmente la situazione.
Alla luce dell’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti, infatti, il sostegno dei privati diventa l’unica via di accesso, per chi vuol far politica nel senso moderno del termine (l’aggettivo temporale non è un viatico morale, è bene ricordarlo), ai denari necessari per tutte le attività connesse con tale obiettivo. Secondo una linea di interpretazione molto in voga oggi, questo è un bene, perché fa sì che il peso della politica non ricada economicamente sulle spalle dei cittadini, e consente, a chi vuole, di contribuire all’affermazione di un progetto in cui crede.
Ora, a parte che la constatazione del fatto che la legge non vieti ai titolari di concessioni o appalti pubblici di finanziare in partito, ingenera forti sospetti sulla correttezza del primo assunto, l’idea che un privato finanzi i progetti in cui crede, viene meno dallo scoprire che alcuni, come il nome citato prima, figuravano fra i finanziatori legali della fondazione di Alemanno e di quella di Renzi, contribuivano alla campagna elettorale del Pd e pure a quella dei partiti a questo avversari: com’è possibile credere in un progetto politico tanto da sostenerlo economicamente e, contemporaneamente e con altrettanta tensione monetaria, riconoscersi in quello a esso contrapposto?
Nel frattempo che si spieghi un simile paradosso, perché non si ripensa a tutto l’impianto legale sui costi del “fare politica”? Perché un conto sono le campagne autofinanziate attraverso un diffuso crowfounding fatto di piccole donazioni di tanti aderenti, un altro sono le grandi fondazioni, con i grossi capitali e i pesanti sostenitori, che li ritrovi di qua e di là rispetto alle normali divisioni politiche.