Già, il partito

“Un segnale, piccolo ma doloroso, di questo cambiamento di status e di prospettiva venne offerto dall’installazione di due diversi ascensori: il primo, al quale si accedeva direttamente, oltre la vetrata dell’ingresso, era riservato ai membri della direzione e portava ai loro uffici; il secondo, in fondo a sinistra, era per tutti gli altri, compagni dell’apparato, tecnici, e dirigenti. Il segno di una separazione che prima, in via Nazionale, non era nemmeno pensabile. Un piccolo colpo al cuore per quanti, un po’ ingenuamente, pensavano che nel partito, in anticipo rispetto alla società, dovessero realizzarsi i principi dell’uguaglianza”. Sono le parole che scriveva, ormai quasi vent’anni fa, Miriam Mafai nelle prime pagine del suo appassionato Botteghe Oscure, addio. Come eravamo comunisti, puntando lo sguardo sulla prima e simbolica differenza fra i tempi provvisori e romantici del Pci ancora resistente, e quello istituzionale e istituzionalizzato nel gran palazzo che abitò dal 1946 e fino all’alba del nuovo.

Ecco, forse oggi, guardando al più grande partito della sinistra italiana, non si ha l’impressione di trovarsi dinnanzi a distinti ascensori. Ora, quello è solamente uno, per quanti, in un modo o nell’altro, sono già dentro i meccanismi del partito o delle istituzioni. Ed è diventato anche sociale, per i piani del prestigio che permette di salire, e professionale, per le opportunità di carriera (e di crescita economica, che è osservazione populistica solo per chi quei soldi li prende) a cui permette di innalzarsi. Il resto è fuori: non cerca d’entrare, non è invitato a farlo. Un vertice che fa a meno della base.

Ovviamente, è un sistema fragile, malsicuro e forse anche traballante, e di certo rischia la caduta per la mancanza di appoggi solidi ed efficaci. Ma finché la barca va, chi è sul ponte non si preoccupa di scogli, marosi o secche. D’altronde, perché dovrebbe? Finisse pure domani, varrebbe comunque la pena di vivere con serenità il giorno di gloria e le relative comodità.

In un mondo in cui la precarietà si esprime violentemente incollando milioni di persone a un telefono o relegandole dietro una friggitrice per qualche centinaia di euro al mese, cosa volete che sia praticarla su poltrone comode per diverse migliaia?

Insopportabilmente cinico? Può darsi. Però qui la chiamata alle armi nel fronte comune contro gli avversari, sembra un po’ troppo da vicino la professione di uguaglianza fra gli amici di sempre in Italia-Germania 4-3: stessa compagnia, stessi ideali, stesso quartiere, uno attico, l’altro portineria.

E non funziona così. Come non funziona il richiamo al territorio e alla Patria lanciato da chi in quello o in questa ha qualcosa da difendere e rivolto quanti, nell’uno e nell’altra, a stento trovano di che vivere. A tali richiami, sempre più in tanti voltano le spalle. A simili chiamate, altrettanti diventano sordi, scoprendo, o solo cercando, le direttrici e le connessioni per tracciare altre coordinate per orientare il loro muoversi.

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